UNDERGROUND, MY FW/16 COLLECTION

Volevo dire dell’insensata velocità con cui il sistema moda impone ritmi e tendenze. E di una creatività che quei ritmi e quelle tendenze difficilmente riesce ad assecondare.

Volevo dire dell’inevitabile processo di azzeramento delle pulsioni espressive, tanto quelle relative alla forma quanto quelle relative alla sostanza. E della vacuità, di forma e sostanza, che ne consegue.

Se da un lato l’ideologia consumistica di massa risulta dominata (leggi anestetizzata) dai media, dall’altro, e per contrapposizione, sento imperante la necessità di porre in atto una personale dialettica di lotta con la realtà circostante e con i suoi condizionamenti di ordine estetico.

La moda continuando ad eclissarsi nello spettacolo di sé stessa non fa che diventare, progressivamente e letteralmente, spazio dell’assenza. 

Anche io, in maniera provocatoria e ironica, gioco qui al gioco della spettacolarizzazione della moda, confrontandomi con la sua primaria fonte di alienazione: l’abito. Realizzato con plastica della peggiore specie, quella dei sacchi delle immondizie, come residuo solido dell’esistenza. 

E’ “l’informale” Alberto Burri che nel 1957 abbandona colore e pennello per dedicarsi alla plastica e al cellophane bruciati in una ricerca tesa alla sublimazione poetica dei rifiuti, degli oggetti usati e logori. 

Ed è Marcel Duchamp, in una famosa conferenza tenuta a Philadelphia nel 1961, a dichiarare che l’arte deve diventare “underground”, sotterranea, per potersi porre in antitesi alla dominante cultura di massa.

Le pratiche artistiche del primo hanno suggerito l’uso della plastica per esasperare il legame tra finzione e verità e per indagare l’idea di una verità coincidente con la materia. Di qui l’interrogativo: la verità della moda coincide con la materia spazzatura? La moda attuale è immondizia?

Le pratiche artistiche del secondo hanno suggerito di guardare in altre direzioni. Schiacciate sotto terra, sullo sfondo, ai margini, vi ho trovato sensibilità liriche e un senso di sospensione. Sospese in un tempo perpetuo creazioni dense di risposte di cui tra poco dirò. 

Foto, Elisabetta Brian

Location, Gian Piero Colombo

 

 

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