ALBERTO PACCINI, BEVILACQUA FIRENZE

Ti scrivo sotto un azzurro perfetto; da dodici giorni…e non una nuvola; nemmeno per un istante il sole si è offuscato…il cielo è terso da due mesi. Io non sono né triste né allegro; l’aria di qui riempie di una vaga esaltazione e fa conoscere uno stato che pare lontano sia dalla gaiezza che dalla pena; forse si tratta di felicità. (Andre Gide, L’immoralista)

S’incomincia così, sotto un cielo terso, immersi nel cuore della campagna toscana, a raccontare l’anima di Bevilacqua Firenze: una storia di tradizione artigiana, di valori e passione cominciata agli inizi degli anni Cinquanta. Sotto un azzurro perfetto, a parlare di romanticismo e ricerca e di una raffinatezza che non si esaurisce mai nell’ostentazione di sé stessa. A dire di un progetto capace di unire, grazie alla forza visionaria del suo direttore creativo Alberto Paccini, la tradizione del passato, l’inventiva del presente e la tensione verso il futuro, per certa vocazione spontanea che induce ad abbattere le barriere spazio-temporali andando alla scoperta della propria identità.

“Dieci anni fa, quando la proprietà mi ha affidato l’incarico lasciandomi la massima libertà di espressione, ho ricominciato tutto da capo. Ho ricominciato innanzitutto dal logo riprendendo quello originale degli anni ’70 e inserendo, grazie all’amico designer Matteo Schiavo, il simbolo del Jack Russell. Un animale che racchiude un po’ il nostro spirito: curioso, allegro, amante dei bambini, sempre pronto a difendere la famiglia…insomma ci è sembrato proprio giusto per questa storia. Siamo ripartiti con poche cose – dieci camicie, cinque gilet e quattro cravatte – ma siamo ripartiti soprattutto dalla storia dell’azienda, che è anche la storia della nostra terra. E’ molto importante per me Firenze: una città che da duemila anni accoglie le persone e le idee e le trasforma perché è insito nel nostro dna di essere aperti e di guardare al mondo. Tant’è che quando mi chiedono del mio stile io rispondo che il mio non è uno stile, è piuttosto prendere le cose e saperle trasformare. Dopo la prima esposizione fatta a Milano – in un piccolo studio di serigrafia al quale avevo chiesto: posso appendere le mie cose qui dentro? – il concetto si è sviluppato, il brand è cresciuto e si è evoluto con un occhio sempre attento ai cambiamenti e alle esigenze della società.”

Un pensiero che unisce la sensibilità di un fiorentino e quella di un giapponese, Jumpei Nakaarai, la cui sintesi armonica è capace di restituire un vestire trasversale, aperto a una vasta gamma di possibilità e interpretazioni. Mentre la produzione viene realizzata interamente in Toscana dalla mani esperte di sapienti artigiani, per i tessuti si guarda ad ogni angolo del mondo: Germania, Francia, Inghilterra, ma anche materiali prelevati da archivi e stoffe vintage originali, proprio per quella naturale predisposizione al mescolamento di cui si diceva.

“Se da un lato sono saldamente ancorato alla ricerca, al reinterpretare, a questo essere ‘comfortable’ che è una delle principali caratteristiche del nostro brand – il fatto cioè che un uomo la mattina possa aprire l’armadio e indossare la prima cosa nostra che gli capita tra le mani riuscendo a sentirsi a posto – dall’altro non posso non prestare attenzione alle nuove tendenze. Non posso non considerare il ruolo importante che l’abbigliamento streetwear, gym e tecnico ha assunto nel mercato. Non mi metterò certo a fare quel tipo di prodotto però inevitabilmente ne sono contaminato. Mi fido molto delle nuove generazioni, dell’intelligenza delle nuove generazioni, che hanno in mano risorse, capacità e possibilità molto importanti e sono certo le sapranno sfruttare. Sta a noi farci trovare preparati, nel posto giusto al momento giusto!”

Il nuovo che avanza a grandi passi esige un confronto serrato non solo con le questioni inerenti lo stile ma anche con le nuove politiche distributive che non potranno più sottrarsi al dibattito sui temi del risparmio energetico, della necessità di una minore movimentazione delle merci e della riduzione degli sprechi.

Credo che nel futuro prossimo rimarranno i contenitori, i cosiddetti concept stores, nei quali dobbiamo essere bravi ad essere presenti. Anzi, diventeranno vetrine ancora più importanti come sta già accadendo nelle grandi capitali: Londra, New York, Hong Kong o Shanghai. E poi prenderà sempre più piede l’e-commerce, la possibilità di acquistare via internet che è già prassi consolidata tra i ragazzi. Questo non significherà togliere il prodotto dalla strada perché bisogna sempre dare la possibilità di toccare i vestiti, di sentirli, è importante. Specie per quelli nostri i cui tessuti beneficiano di una serie di trattamenti particolari, con enzimi naturali agli estratti di miele, frutta, lavoriamo con il legno e le pietre di marmo. E ovviamente queste caratteristiche on line non è possibile trasferirle. Ma penso sarà questa la direzione e io continuerò a tenere gli occhi spalancati su tutto ciò che è in divenire. ”

Contaminazione, provocazione, punti di rottura, mescolanza delle cose e la capacità di vedere gli oggetti da diverse prospettive. La moda e l’arte e i loro intrecci visivi hanno questa abilità, sanno suggerire sfumature diverse. Specie quando dietro vi è la personalità eclettica, concreta eppure lieve, di un uomo che le cose le sa fare per bene e sa dare vita a queste forme, questi colori, questa materia che esiste prima di tutto nella sfera dei sensi dove le associazioni sono libere e fondamentalmente poetiche.

Desidero ringraziare per la cortese intervista Alberto Paccini, Direttore Creativo di Bevilacqua Firenze – web siteFacebookInstagram

La foto di copertina è di Elisabetta Brian

Io indosso abiti Elle Venturini e orecchini Aumorfia 

 

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