C’è un mondo pieno di oggetti qui, tutti disposti in ordine sparso. Tutti con la loro logica, tutti con la loro luce, il loro peso, la loro materia, la loro resistenza, la loro fragilità. Oggetti che non cercano consumatori, né osservatori, né consensi, né dissensi. Che non cercano nulla di più di quello che si trova già in loro stessi. E c’è una donna, che non ama essere definita artista, che a questi oggetti dà forma trasformandoli in gioielli contemporanei.
Dopo gli studi di informatica, con una occupazione nell’ambito IT, Manuela Gandini nel 2004 converte la sua passione personale in un progetto che è espressione della sua creatività e che porta il nome MANUGANDA.
Francesca: Come nasce la fascinazione per il gioiello contemporaneo? Hai memoria di un inizio, se un inizio c’è stato?
Manuela: Probabilmente grande influenza ha esercitato su di me la figura di mio padre, un uomo molto creativo, lo è stato fino all’ultimo, molto curioso anche. È stato lui a regalarmi il primo gioiello, un anello in filo di ferro comprato da un hippy al Castello Sforzesco, e una pinza per il metallo che conservo ancora adesso. I gioielli sono sempre stati parte della mia vita, preziosi e non. Ma con il passare del tempo ho elaborato una mia estetica che ha focalizzato l’interesse sull’essenziale a discapito di tradizione e preziosità. Bruno Munari diceva che “complicare è facile, semplificare è difficile”. Ecco, Il gioiello che mi piace è espressione di essenzialità, mi stupisce per l’estrema semplicità (che non è banalità).
Francesca: Il fulcro di tutto il tuo processo creativo è sicuramente la fase di progettazione. Ma anche la ricerca e la sperimentazione con i materiali giocano un ruolo fondamentale. Come descriveresti il tuo approccio al gioiello?
Manuela: innanzitutto devo dire che non mi riconosco nella definizione di artista. I miei gioielli nascono come progetti di design e come tali sono riproducibili in serie. Considero che il progetto sia il vero valore di un gioiello contemporaneo. Gli elementi che concorrono al mio progetto sono 4: la materia, la forma, il corpo, lo spazio. Ogni progetto nasce dalla materia, identifica delle forme, trova le soluzioni per renderle adattabili alla parte del corpo a cui è rivolto in modo che interagisca con lo spazio circostante. Pertanto i miei gioielli sono un mix di ricerca formale, studio dei materiali, ergonomicità, tecniche di produzione innovative unite a quelle dell’oreficeria tradizionale per conseguire una perfetta realizzazione finale. Certamente in maniera tradizionale ho iniziato, con la cera lavorata a mano per esempio, ma oggi abbiamo a disposizione tutta una serie di supporti tecnologici che consentono ampia libertà nella creazione delle forme e successivamente consentono di avere una produzione di un un gioiello su misura per un perfetto comfort una volta indossato. In tal senso i modelli della mia collezione permanente, realizzati inizialmente a mano, sono stati riprogettati in 3D con un processo di reverse engineering per consentire di avere a disposizione tutte le misure in fase di produzione. Il vantaggio dell’innovazione tecnologica è stato anche quello di poter sperimentare molti materiali alternativi quali l’acciaio, l’alluminio o ancora il titanio e il nylon e la gomma che necessitano di tecniche di lavorazione non tradizionali come il taglio chimico e ad acqua, la sinterizzazione laser, lo stampaggio a caldo. Per quanto riguarda l’iter progettuale la mia metodologia deriva da una personale inclinazione alla sperimentazione e dalla somma delle mie esperienze nella Gestione di progetti IT – poiché MANUGANDA è un secondo lavoro che occupa metà del mio tempo. Gli step di progetto sono sempre gli stessi (idea – disegno – prototipo – test – produzione – package) ma sul percorso si incontrano spesso intoppi, è necessario inventarsi soluzioni, bisogna reiterare alcune fasi. Le varianti di percorso che portano al gioiello finale sono tante e rendono questo ‘viaggio’ emozionante. È questo che mi appassiona ogni volta come se fosse la prima.
Francesca: Timeless, senza tempo, senza collocazione stagionale, è un concetto fondante della tua estetica. I tuoi sono oggetti che si collocano al di fuori della dimensione spazio-temporale dettata dal fashion business. Una scelta o un sentire?
Manuela: Direi che essendo il mio un lavoro che non viene generato da un bisogno può concedersi di essere lento. E’ una mia ricerca, il percorso progettuale è lungo e articolato, dall’idea sino ad arrivare alla costruzione del packaging. Tutto accade qui dentro. Tutto parte da me. Un processo che può richiedere tempi di sedimentazione anche molto lunghi ma questo non fa alcuna differenza perché non intendo assecondare le dinamiche, di tutt’altra natura, che caratterizzano la moda e la sua commercializzazione. Sono piccole collezioni le mie, senza tempo, composte di pochi pezzi, che anche quando sono portatrici di significati intimi e profondi – penso alla collezione 4Human che vuole rappresentare in maniera simbolica il valore di una relazione, di qualunque specie essa sia – non sono mai gridati, mai esibiti.
Francesca: Come nasce l’idea? Qual è la tua principale fonte di ispirazione?
Manuela: L’idea può essere funzione di tante cose. Nel senso che se devo prepararmi per un contest allora in quel caso devo adeguare il mio pensiero a certi parametri imposti. In altre occasioni invece la creatività è davvero libera e trova ispirazione prevalentemente nelle forme architettoniche. La natura quasi mai è uno stimolo per me, non ho un approccio “romantico”. Sono le linee, le geometrie, le superfici, gli incastri a suscitare il mio interesse. Da un viaggio a Berlino è nato per esempio il bracciale Berlino 09 realizzato per una mostra in Triennale nel 2010.
Francesca: Qual è la donna a cui pensi quando crei?
Manuela: Penso a una donna che ha un suo stile personale, che vuole distinguersi. Disegno gioielli che io stessa indosso con piacere, pertanto credo che possa essere una donna simile a me. Di certo non è una fashion victim. Ha uno stile non omologato, mescola gli abiti con gli accessori e in un gioiello di questo genere trova qualcosa che la fa stare bene.
Francesca: A ottobre scorso hai inaugurato questo nuovo spazio alle porte di Milano. Un luogo aperto si potrebbe definire, agli incontri e alla condivisione. Quale futuro immagini ?
Manuela: Ho deciso di rallentare sempre di più perché ritengo che questo prodotto necessiti di essere capito. E allora serviva un posto così: laboratorio, show-room, luogo deputato alla vendita ma anche aperto alle collaborazioni. Credo nelle connessioni, credo ai richiami silenziosi. Non è forse anche per questo che siamo qui io e te oggi?
Desidero ringraziare per la cortese intervista Manuela Gandini, fondatrice di MANUGANDA: website – Facebook – Instagram
Milano, via Stadera 10
Foto di Gaia Dallera