MONICA BONVICINI, UNREQUITED LOVE

Il rapporto tra architettura, potere, genere e sessualità, spazio, sorveglianza e controllo: ci sono tutti i temi che compongono il nodo teorico della poetica di Monica Bonvicini (Venezia, 1965) nella seconda personale dal titolo “Unrequited Love” che ha inaugurato lo scorso 20 settembre alla Galleria Raffaella Cortese di Milano. La sua pratica multiforme eppure rigorosa, a tratti sarcastica, densa di riferimenti storici e socio-politici, la forza analitica che caratterizza il suo lavoro votato a mettere in discussione il significato del fare arte, l’ambiguità del linguaggio, i limiti e le possibilità legati all’ideale di libertà, sono tutte cifre di questa questa artista che, iniziando a esporre dai primi anni Novanta, si è progressivamente e incisivamente affermata nel panorama internazionale dell’arte contemporanea.

La mostra si sviluppa nei tre spazi della galleria a cominciare da quello centrale di via Stradella 7 illuminato dalla scultura sospesa Bent On Going (2019): una fascia di luci al LED tessute insieme da un intricato ricamo di cavi elettrici. Astratta e immateriale, fredda e industriale, questa luce definisce lo spazio e illumina una forma in disfacimento – in principio era un cerchio – che pare come afflosciarsi, non riconoscersi più in un ipotetico originario ideale di perfezione. All’algore del LED fa da contrappunto il calore di una serie di fili elettrici che si innestano nell’opera e sembrano quasi evocare l’azione del ricamo, evocando altresì la suggestione di un femmineo di reminiscenza epica.

Ph. Elisabetta Brian, Monica Bonvicini, Unrequited Love, Galleria Raffaella Cortese

Appese alla parete troviamo altre nuove opere – realizzate con la tecnica della pittura a tempera o spray su carta – della serie Hurricanes and Other Catastrophes iniziata dopo il flagello causato dall’uragano Katrina nel 2005 a New Orleans. Lo stesso senso di disfacimento, di ripiegamento della forma e della struttura, appare evidente anche in questi lavori che l’artista stessa considera sempre in fieri, in trasformazione continua, tanto nelle modalità – oggi non è più lei a recarsi direttamente sui luoghi per scattare fotografie dalle quali genera poi queste opere pittoriche, ma le immagini le ricava dal web o dalla stampa – quanto nei contenuti se si tiene in considerazione la forza sempre più impattante che i cambiamenti climatici hanno in relazione a eventi così tragici. Aderendo alle teorie di Donna Haraway, filosofa e docente statunitense, capo-scuola della teoria cyborg – una branca del pensiero femminista che studia il rapporto tra scienza e identità di genere – Monica Bonvicini aderisce anche alla teoria del Capitalocene secondo la quale il cambiamento climatico non è il risultato dell’azione umana in astratto – Anthropos – bensì la conseguenza più evidente di secoli di dominio del capitale.

Ph. Elisabetta Brian, Monica Bonvicini, Unrequited Love, Galleria Raffaella Cortese

Ma tutta la sua produzione è densa di riferimenti, anche letterali. Le due citazioni che accompagnano la serie “Strong women know the taste of their own anger” e “Anger is one Short of Danger” appartengono rispettivamente alla poetessa e scrittrice statunitense Audre Lorde, nata nel quartiere di Harlem a New York da genitori di origine caraibica, che definiva sé stessa “femminista nera, guerriera lesbica e poeta” e a Eleanor Roosevelt, attivista e first lady statunitense, e rimandano al tema della rabbia, uno dei tòpoi ricorrenti nell’arte di Monica Bonvicini. Rabbia come potenziale energetico, creativo e generativo. Il sapore di qualcosa che le donne forti conoscono bene.

Ph. Elisabetta Brian, Monica Bonvicini, Unrequited Love, Galleria Raffaella Cortese

La mostra prosegue in via Stradella 4 dove spicca per dimensioni una grande serigrafia su lastre di alluminio concepita dall’artista in occasione della sua recente personale I Cannot Hide My Anger al Belvedere 21 di Vienna. Tratta dalla pubblicità della Marlboro, molto in voga agli inizi degli anni Novanta, questa icona di origine mass mediale, che nella sua forma originaria di cartellone pubblicitario era già stata esposta dall’artista nel 1993 alla Cal Arts di Valencia (California) dove stava completando gli studi, viene oggi ripresa per farsi portatrice di messaggi e significazioni nuove. Oltre la completa assenza della figura femminile, esclusa da un mondo in cui solamente la virilità del cowboy a cavallo è contemplata, anche il recinto di filo spinato, alla luce dei flussi migratori che interessano la frontiera tra Messico e Stati Uniti e l’Europa intera, continuano a essere temi drammaticamente attuali.

Ph. Elisabetta Brian, Monica Bonvicini, Unrequited Love, Galleria Raffaella Cortese

Ed è proprio questa netta linea di separazione delineata dal recinto a fare da collante visivo e concettuale con l’altra opera presente nello stesso spazio: la scultura in ferro e vetro soffiato dal titolo Fleurs du Mal (pink) (2019). Oggetti in vetro rosa come brandelli di carne, residui solidi di una umanità di confine, appesi agli uncini di quello che ricorda un grande Scolabottiglie, riferimento esplicito al celebre ready-made di Marcel Duchamp del 1914. E spuntoni di ferro che rimandano a un ambiente domestico pieno di insidie e pericoli, falso nido di felicità come testimoniano le parole di Diane Williams (The Collected Stories, 2018) da cui la mostra prende il titolo: This is unrequited love, which is always going around so you can catch it, and get sick with it, and stay home with it, or you go out and go about your business getting anyone you have anything to do with sick, even if all that person has done is push the same shopping cart you pushed, so that she can go home, too, and have an accident, such as leanin over to put dishwasher powder into the dishwasher, so that she gets her eye stabbed by the tip of the bread knife, which is drip-drying in the dish rack.”

Ph. Elisabetta Brian, Monica Bonvicini, Unrequited Love, Galleria Raffaella Cortese

Infine, nello spazio di via Stradella 4, la serie fotografica Italian Houses (2019) – che sarà esposta nella personale dell’artista alle OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino in autunno – nasce da un lavoro di documentazione fotografica di villette bi-familiari lombarde concepite e costruite intorno alla fine degli anni Sessanta per le famiglie ‘tradizionali’ dell’epoca composte dai genitori e due figli. Da allora, sulla scorta dei cambiamenti economici e demografici intervenuti, l’aspetto  da principio identico di queste abitazioni ha ceduto il passo a iniziative individuali con la conseguenza di singolari risultati estetici.

Ph. Elisabetta Brian, Monica Bonvicini, Unrequited Love, Galleria Raffaella Cortese

Tre delle case che compongono la serie diventano carta da parati che ricopre i muri interni dello spazio della galleria; alle pareti tre disegni del 2002 appartenenti alla serie Places of ID propongono interessanti connessioni tra architettura, storia e sessualità. Anche qui una serie di richiami: alle donne ritratte dal fotografo di moda Helmut Newton per esempio, fiere e decise quando decidono di mostrarsi rivendicano il diritto di disporre liberamente del loro corpo o a L’Uomo Vitruviano del maestro rinascimentale Leonardo Da Vinci.

Ph. Elisabetta Brian, Monica Bonvicini, Unrequited Love, Galleria Raffaella Cortese

A rafforzare l’immagine di un domestico a dir poco peculiare la mano di bronzo Grab Them by the Balls (2019) che protendendo dalla parete diventa una chiara risposta, non priva di umorismo, a un potere patriarcale che sminuisce la realtà femminile.

 Monica Bonvicini, Unrequited Love

Galleria Raffaella Cortese, Milano via A. Stradella 7-1-4

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Fino al 9 novembre 2019 | martedì – sabato, h. 10:00 – 13:00 / 15:00 – 19:30 e su appuntamento 

Foto Elisabetta Brian 

Abiti Silvia Toffanin, FacebookInstagram 

Grazie a Here Connecting Creativity 

 

 

 

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