OSART GALLERY E VINCENZO AGNETTI. OLTRE IL LINGUAGGIO.

Nipote di Peppino Palazzoli, il celebre gallerista che ha rappresentato per primo in esclusiva mondiale artisti del calibro di Fontana, Burri e Vedova. Figlio della famosa storica e critica dell’arte Daniela Palazzoli e di Tiziano Ortolani uno dei più grandi esperti italiani di carte antiche, incunaboli ed incisioni. Una laurea in Economia dei mercati e delle istituzioni finanziarie all’Università Luigi Bocconi di Milano e diverse esperienze professionali sia in banche di investimento che in importanti società di consulenza. Forte di un solido background culturale e di una consolidata esperienza manageriale, Andrea Sirio Ortolani dà avvio nel 2008 a Milano al proprio progetto di una galleria d’arte con l’intento di valorizzare e diffondere il lavoro di artisti che sono stati determinanti nel panorama dell’arte sia per le tematiche che per i linguaggi nuovi proposti.

Non ho mai considerato l’eredità familiare come un peso, tutt’altro, è stata proprio la mia famiglia a trasferirmi grandi competenze che io poi ho ampliato studiando e sviluppando il mio gusto. La Osart Gallery nasce circa 10 anni fa dal desiderio di trasformare la mia passione in un lavoro, ed è un grande vantaggio poter lavorare facendo qualcosa che piace. Chiaramente all’inizio con grandi difficoltà sebbene provenissi da una famiglia che era sempre stata nel mondo dell’arte. Avevo 27 anni ed ero giovanissimo, almeno per fare il gallerista, perché quello dell’arte è un mondo abbastanza conservatore e poco incline ad accogliere i giovanissimi. E onestamente ci vuole anche un discreto patrimonio per fare questo lavoro a un certo tipo di livello, per cui è stata una costruzione lenta, fatta piano piano. La forza è tutta nelle scelte, essere lungimiranti e puntare su artisti di un certo tipo come poteva essere Agnetti. E io penso nel mio piccolo di averlo fatto.”

La galleria focalizza il proprio interesse essenzialmente sull’arte concettuale degli anni ’60 e ’70, un periodo davvero fecondo in Italia che ha prodotto artisti del rilievo di Vincenzo Agnetti, Franco Vaccari, Gianni Colombo, Claudio Parmiggiani e Aldo Tagliaferro, tanto per citarne alcuni, grandi maestri che rimangono ancora oggi dei grandi innovatori. Autori non immediati forse, che necessitavano di essere guardati in modo accurato, attento, di essere comunicati e sdoganati in un certo senso. Da qui una intensa attività informativa della galleria, rapporti costanti con fondazioni e musei e una attenta collaborazione con altre gallerie sia italiane che internazionali.

“Ho fatto anche delle divagazioni molto belle sull’arte contemporanea, pochissime perché secondo me l’arte contemporanea è molto più difficile da trattare. Viviamo in un mondo globale e veloce e quindi è facile assistere ad artisti che hanno il destino di comete, che fanno delle veloci apparizioni e poi cadono. Ma ci sono 3 progetti a cui tengo molto e per i quali devo ovviamente ringraziare la consulenza di mia madre: quello legato all’artista afro americano Titus Kaphar, quello sulle pittrici donne dal titolo “Women pianters from five continents” e quello con gli artisti Annabel Daou e Marco Maggi. Il destino ha voluto che dopo averli portati in Italia la gran parte di loro abbia esposto alla Biennale di Venezia.”

La galleria ha celebrato il trasferimento nella nuova prestigiosa sede di Corso Plebisciti 12 a Milano inaugurando, lo scorso 23 marzo, una personale dedicata proprio a Vincenzo Agnetti dal titolo Oltre il Linguaggio, realizzata in collaborazione con l’Archivio Vincenzo Agnetti e aderendo così al circuito di Photofestival 2017, l’evento culturale promossa do AIF (Associazione Italiana Foto) & Digital Imaging che coinvolge più di 100 gallerie e spazi espositivi, anche istituzionali.

E’ un Agnetti inconsueto, non comune, quello esposto in questi giorni alla Osart Gallery. Tralasciando le sue opere più iconiche e probabilmente più note come gli Assiomi e i Feltri, la mostra intende dare risalto alla produzione fotografica nel periodo intercorrente tra gli anni 1973 e 1976 esplorando così le operAzioni concettuali dell’artista e tutti i temi che definiscono la sua poetica espressiva.

A partire dal linguaggio e dalla sua riduzione in numeri, lavori in cui la parola viene privata del suo significato, lavori “tradotti, azzerati, presentati” in forma numerica che danno avvio a tutta la riflessione sul tema dell’intonazione. Perché nel momento in cui la parola diventa numero perde un significato e nel momento in cui viene intonata diventa suono. Diventando un supporto di intonazione qualunque tipo di discorso può essere tradotto in tutte le lingue del mondo. Rientrano in quest’ambito Il Frammento di Tavola di Dario tradotto in tutte le lingue (1973) insieme a Progetto per un Amleto politico (1973) e a Discorso n° 2 (Sussurrato) (1974).

Discorso n°2 (Sussurrato)”, 1974, foto stampata a colori e scrittura serigrafata incollata su alluminio, cm. 100 x 138, Courtesy Osart Gallery, Milano, Photo credits: Bruno Bani

Altro tema caro all’artista è quello del ritratto, soprattutto il ritratto legato al tempo, sia esso un futuro lontano come in Identikit (1973) o ancora un tempo passato e presente come nell’opera L’età media di A. (1973-1974) in cui la scelta arbitraria di quattro frammenti fotografici del viso di A, appartenuti a quattro diversi momenti della sua vita, assecondano la convinzione dell’artista per cui “un viso è un raccoglitore che rivela magicamente il tempo giusto, vissuto, goduto, sbagliato dimenticato di una data persona.”

“Età media di A.”, 1973-1974, fotografie e scrittura a china, cm. 99 x 145, Courtesy Osart Gallery, Milano, Photo credits: Bruno Bani

Ritorna lo studio sul tema della natura con Progetto Panteistico, Foglia (1973) in cui l’assioma “arrampicarsi su un albero, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare che crescano foglie dalla propria pelle” riporta a una idea di totalità uomo-natura.

“Progetto panteistico (Foglia)”, 1973, riporto fotografico su tela su alluminio, sette pannelli di 74 x 58 cm. ciascuno, Courtesy Osart Gallery, Milano, Photo credits: Bruno Bani

E ancora l’argomento della comunicazione, così centrale nell’indagine di Agnetti, ritorna in Autotelefonata (1974), in cui si vede l’artista impegnato in una conversazione con due cornette e tante volte scritta la parola yes, quasi a simulare una conversazione dei giorni nostri. La forte intensità emotiva della performance In allegato vi trasmetto un audiotape della durata i 30 minuti (1973) in cui l’audio ripete solo dei numeri. La contemporaneità in forma di numero in Tutta la storia dell’arte è in questi tre lavori (1973), opera che comprende due immagini una a significare l’arcaicità e l’altra la classicità e il numero come simbolo di innovazione. La fotografia non più come mezzo di comunicazione ma come supporto per creare l’arte nell’opera Free-hand photograph (Fotografia eseguita a mano libera) (1974) e il teatro statico di Agnetti che in Elisabetta d’Inghilterra (1976) ha la sua rappresentazione più significativa.

Una monografica coinvolgente e carica di pathos che, toccando tutti i temi cari ad Agnetti, pone l’attenzione sulla sua volontà di spingersi, anche utilizzando il medium fotografico, Oltre il linguaggio.

Desidero ringraziare per la cortese intervista Andrea Sirio Ortolani  – Osart Gallery  – sito webFacebookInstagram

La mostra Vincenzo Agnetti. Oltre il Linguaggio è visitabile presso la sede della galleria in Corso Plebisciti 12, Milano fino al 27 maggio 2017 nei seguenti orari: da martedì a sabato, ore 10.00 – 13.00 14.30 – 19.00

Catalogo: bilingue italiano/inglese con testi di Bruno Corà e Daniela Palazzoli

 Foto di Nils Rossi

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