ROBERTO VITALE, DI LEGNO E DI CENERE

In un giorno di sopita pioggia, insieme all’aria dell’inverno, si fa largo un silenzio fondo. Porta con sé una malinconia che è vita, che è il mare e la sua brezza, i pendii, i colli, l’erba millenaria, i rami secchi, l’odore delle stagioni. Tutt’intorno gridi più alti adombrano il senso di un mondo che pare perduto, di una voce attesa nel giorno che si spegne nella pace della notte.

Un rapporto profondissimo con la parola: nel valutare distanze, nel dosare vicinanze, una spinta, un balzo indietro, un senso dell’equilibrio come di chi si aggrappa con forza alla roccia e da lì guarda luoghi ameni che corrono lungo il torrente.

Un rapporto altrettanto profondo con la musica: quella di Dalla, De Andrè, Battiato ma anche Leonard Cohen e Jeff Buckley, un mondo più scuro, più impegnativo. Formatosi con le lezioni di una insegnante di canto lirico italo-spagnola in un viaggio nel centro America di Chavela Vargas e Mercedes Sosa, una intensità che ha consentito di tirare fuori la voce.

“Ho sempre cantato, fin da piccolo e ogni volta che se ne presentava l’occasione, però a un certo punto non mi è più bastato. Sentivo l’urgenza di dare forma a quello che mi veniva in mente e ho scelto la chitarra acustica convinto fosse lo strumento più adatto per accompagnarmi nella scrittura. Appena ho imparato gli accordi è nata la prima canzone, 15 anni fa, in macchina. Erano molto chiuse le canzoni dell’inizio, troppo ermetiche forse, nel senso che stavo molto attento a non essere pop e banale e questa cosa condizionava inevitabilmente i testi. Quando sono riuscito a liberarmi anche il linguaggio, di conseguenza, è risultato più snello.”

Un percorso lungo quello che ha portato Roberto Vitale alla realizzazione di questo suo album d’esordio dal titolo Di legno E di Cenere. Un’autoproduzione che è arrivata lenta, forse nel tempo in cui il tempo era giusto, dopo aver lasciato la città e aver fatto l’esperienza della montagna in una condizione quasi primitiva. Una casa di pietra in mezzo al niente, senza acqua né luce, e vivere a lume di candela e assecondare una idea di fuga.

“Stavo sempre chiuso lì e scrivevo senza però mai far uscire nulla da quella casa. Poi lo scorso anno mi sono convinto a far sentire le mie canzoni. Si, solo lo scorso anno, forse per colpa della mia cattiva abitudine a boicottarmi. Adesso so che canto bene ma fino a poco tempo fa non ne ero così convinto e non riuscivo mai a trovare la mia voce. Tendevo a emulare, avevo dei modelli in testa e pensare di dover arrivare a quelli mi portava sempre fuori da una mia idea di musica. Invece io ho dei bassi importanti, che partono dallo stomaco e che ho scoperto andando a lezione di canto, e ora mi piacciono ed è lì che ho deciso di andare.“

Così inizia a suonare a Bologna e provincia, uno spettacolo costruito intorno alle canzoni più rappresentative, le sonorità e i testi propri ma anche il repertorio di Tenco e Endrigo o Patti Smith. La gente che accorre sempre più numerosa, che si emoziona, e l’idea di registrare qualche pezzo. Ne esce un disco per certi versi notturno, come dilatato, niente batteria, la voce molto in primo piano, la parola su tutto.

“Dal punto di vista dei contenuti è un disco vario. Non posso non scrivere di quello che accade intorno a me, a mio modo, non posso non interessarmi ai temi che riguardano la società ma ho dato anche ampio spazio alle canzoni mie più intime. Per esempio il singolo “Un giorno qualunque” muove dall’episodio di Ustica anche se in realtà non cita mai in maniera esplicita la vicenda. Si sentono all’inizio le voci da dentro la scatola nera, filtrate dal rumore del mare, dopo di che la storia prende un’altra piega. Oppure “Violent Squalls”, una canzone molto vecchia scritta dopo il film I segreti di Brokeback Mountain, un film importante perché sdoganava l’omosessualità a Hollywood di cui mi aveva colpito l’interazione forte tra la natura e la passione dei due protagonisti, mi aveva travolto, anche perché coincideva con un momento molto particolare della mia vita.”

Legno e cenere rimandano alla montagna ma anche al ciclo della vita, l’essere, il divenire e il ritornare. E rimandano alla collaborazione con l’artista Massimiliano Usai, al titolo della sua mostra, a un lavoro che sui supporti di legno sperimenta la fotografia, l’acrilico, la pittura mescolandoli insieme alla cenere per conferirgli un aspetto materico. Un percorso creativo che trova comunanza di intenti nel suggestivo Spazio Omniae, territorio per l’arte in senso lato dove echi musicali e fascinazioni visive convivono in maniera sintonica.

“La scorsa estate ho scritto una canzone che parlava della Strage di Marzabotto e ho pensato di intitolarla “Di legno e di cenere”. Io che abito lì vicino sono andato a fare un giro su quelle montagne e ho visto tanto, gli edifici ancora bucati dai proiettili, e da tutte quelle immagini è nata questa canzone, una canzone appenninica la definirei, proprio come sono io. Poi è diventato anche il titolo dell’album quasi fosse naturale legare in qualche maniera il mio lavoro a quello di Massimiliano.”

Immagini liquide, quadri senza tela, evocano luoghi inabitati, giorni appesi a un chiodo, il cielo fermo, case e silenzi e montagne scure e boschi di ruggine. Parole mai dette eppure udite, che descrivono una emozione senza parlare dell’emozione stessa.

“E’ un disco onesto, coerente con me, e di questo sono convinto. Ed è già tantissimo. Voglio fare piccoli numeri che però mi soddisfino, pur tra tutte le difficoltà. Perché il mercato è faticoso, specie per uno come me che si auto produce, e le sue dinamiche le conosciamo tutti: ritmi veloci e una discografia più o meno omologata, anche in termini di produzione. Ma io penso che il mio compito sia quello di suonare e portare la mia musica, che è strettamente legata alla poesia, in mezzo alle persone.”

Tutt’intorno, ancora, gridi più alti adombrano il senso di un mondo che pare perduto, di una voce attesa nel giorno che si spegne nella pace della notte. Solo che adesso tu hai altre luci intorno. E sei al centro di una scena, senza prove e senza grida.

Desidero ringraziare per la cortese intervista Roberto Vitale – websiteFacebook.

Foto di Elisabetta Brian 

Location courtesy of Sergio Benetti Lanzerath

 

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