THE DUMMY MEETS FRANCESCA LOLLI

#DEFINE VIDEO ART

Ho inseguito lo spigolo acuto di un corpo di donna e rincorso il dolore muto di un racconto che diceva con le immagini. Silenzio intorno. Eppure un rumore assordante si generava in fondo al cuore. Ho corso a perdifiato dietro un tormento che mi pareva bellissimo anche se tratteggiato di insondabile. Al contempo: luce di poesia e buio come un dramma in sequenza di fotogrammi. Ho provato a capire l’ansia di creare, l’urgenza nel manifestare, la responsabilità nel raccontare. La contemporaneità. Ho preso per mano Francesca Lolli e mi sono fatta guidare in un profondo viaggio di ricerca dentro la complessità della natura umana. Dentro la sua opera. Oggi affermata performer e video artista, Francesca in realtà fa il suo esordio nell’arte recitando con la Compagnia dell’Arsenale di Milano dopo aver conseguito il diploma come attrice ed essersi laureata in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera (MI).

Volevo a tutti i costi fare l’attrice, era il mio sogno. Così dalla provincia di Perugia sono arrivata a Milano, ho studiato e subito ho iniziato a lavorare. A un certo punto però non riuscivo più a sopportare che il mio corpo fosse a servizio delle idee di qualcun altro e per la mia tesi ho voluto fare un documentario sul fotografo statunitense Andres Serrano, senza avere nessuna idea di come si dovesse girare un documentario. L’ho semplicemente contattato proponendogli questo mio progetto e quando è arrivato a Milano, dove aveva una personale al PAC, l’ho seguito per una settimana, d’improvviso catapultata in un mondo bellissimo, popolato di artisti e personaggi del calibro di Yvon Lambert. Ecco, poi mi sono trovata con tutto il materiale da montare e nessuno disposto ad aiutarmi. Direi che ho iniziato così. Perdendo le notti dietro ai frame.”

Adesso padrona di una tecnica rigorosa che sa dominare e consapevolmente sorpassare e altresì conscia della responsabilità che il suo lavoro di artista comporta, specie in un mondo in cui il web rende tutto immediatamente fruibile, dirige nei suoi video corpi che si stagliano austeri dentro lo spazio. Corpi a disposizione dell’arte, corpi asessuati, corpi come tele, corpi a beneficio dell’espressione

perché cerco di non identificarmi con quello che faccio e vorrei che il mio corpo nudo fosse visto solo come un mezzo. L’artista non è l’arte e artista e arte sono termini che uso per convenzione linguistica. Io non sono quello che faccio, ha il mio sapore ma non sono io.

Corpi che sono pieni di solenne gravità quando si muovono. Pieni di altrettanta solenne fragilità quando non parlano. Perché la parola fa paura, terrorizza perfino e se non è legata al movimento diventa incontrollabile. Corpi frastagliati, il corpo suo come quello dei suoi attori, che si dipanano nella continua ambivalenza tra carne e spirito, nell’esigenza di capire, in una tensione creativa che le fa dire, parafrasando Pessoa, mi brucia l’anima come fosse una mano.

“Ho sempre avuto dentro questo dualismo tra corpo e spirito, e sempre mi ha fatto sentire inadeguata. Poi quasi una sorta di illuminazione, anche se fa ridere parlare di illuminazione. A un certo punto ho realizzato che si, io vivo in un mondo fisico, carnale, fatto di ossa, merda e sangue, però c’è anche una spinta verso qualcosa altro, qualcosa che va oltre questa mia specie di disturbo fisico. C’è quindi un piano in cui l’orizzontale interseca il verticale.”

Indagare l’uomo così in profondità significa indagarne strutture e sovrastrutture, provare a scovare quel nucleo identitario che oltre le costrizioni socio-politiche, famigliari o culturali sappia rivelare un poco, almeno un poco, di noi. Ha il respiro del vento e del mare nel lavoro di Francesca. La forza dell’acqua che pure irruenta è capace di modellare l’animo anziché spezzarlo se non trova barriere o rigidità a ostacolarne il flusso, bensì propensione al cambiamento, alla innovazione, alla sperimentazione. E’ l’identità liquida che permea il lavoro di questa artista così sincera nelle intenzioni, bella in maniera fin disarmante mentre con la sua forza di donna si destreggia in una realtà, quella dell’immagine in movimento, così inquinata dai mass media. Incapace di ignorare il mondo in cui viviamo e abile a restituirlo in forma di intensa riflessione sul tempo presente.

E nel presente c’è la guerra, che sia a Gaza o in Siria o a Kathmandu a me non interessa. La guerra è guerra e in quel momento, quando ho realizzato il video Dove sono finite le Lucciole, quella era la guerra che sentivo, anche se di Gaza non si può molto parlare. Del resto ogni cosa che facciamo, diciamo o pensiamo è politica nel senso di polis, non nel senso di fazione o di pensiero politico. E da questo non possiamo prescindere.”

Ho inseguito a ragione lo spigolo acuto di un corpo di donna e rincorso non a torto il dolore muto di un racconto che diceva con le immagini. Vi ho trovato alla fine il potere suggestivo di una vita di ricerca e sperimentazione. E nel posare la penna quel rumore assordante che si era generato in fondo al cuore inizia a prendere forma. Di eco. Riecheggia adesso. Nitido. Il pensiero.

 

Desidero ringraziare per la cortese intervista Francesca Lolli, video & performance artist –  vimeo.com/francescalolli

 

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