ALBERTO NIDOLA, SGUARDI DAL VIETNAM

Si aprono altre vie da esplorare in questo viaggio che ha inizio nelle risaie montuose del nord del Vietnam e che continua attraverso le foreste di bambù alla scoperta di luoghi, lingue, costumi, culture diverse. A contatto con una natura che è insieme presenza estetica e forza vitale, simbolo dell’unione tra l’uomo e l’anima del mondo, in mezzo agli alberi secolari, ai fiori e alle bacche, a calpestare la terra rossa e gialla, a guardare gli imponenti bufali che arano i terreni, a camminare sotto la pioggia battente e il vento forte.

“Sono partito insieme alla mia cara amica Linh che fa ritorno in Vietnam, la sua terra, con la “madre di cuore” (la madre adottiva ndr) ogni due o tre anni per sentirsi più vicina alle sue origini e comprendere nel profondo il senso di ciò che ha lasciato. E allo stesso tempo per sentirsi parte di due cuori, quello vietnamita e quello italiano, accettandoli entrambi. Ogni volta che ascoltavo i suoi racconti mi prefiguravo un luogo che avesse il suo cuore e i suoi occhi, la stessa sua anima. Era come se qualcosa mi chiamasse da dentro la vita, in quel preciso istante, e così ho deciso di andare insieme a loro diventando parte integrante della famiglia per tutto il tempo del viaggio e condividendo con loro lacrime, risate, fatiche e tante, tantissime emozioni. Non avevo aspettative, non le volevo nemmeno, era tutto un mistero, come atterrare su un mondo di cui non sapevo nulla e che per tanto si è rivelato, giorno dopo giorno, una scoperta continua.”

Da Hanoi – la città capitale dello stato del Vietnam – un percorso lungo i piccoli villaggi a contatto con i loro abitanti, i loro gesti, le loro abitudini, gli occhi dei bambini registrati con lo sguardo della macchina fotografica. I loro occhi in risalto, l’umanità della vita vissuta con estrema naturalezza e libertà e la loro sensibilità a dare peso e valore a ogni cosa.

“I bambini del Vietnam li ho conosciuti per le strade, nei campi, nelle scuole, nelle famiglie con le quali abbiamo abitato. Li ho osservati sempre. Quando, come estraniati dalla realtà, passavano giornate lunghe a schiacciare con un cucchiaio il terriccio di un campo esteso nel nulla. Quando percorrevano valli intere e interminabili strade a piedi per andare a scuola o ancora fermi in coda in attesa del latte alla fine della giornata. Li ho guardati mentre si addormentavano sulle spalle delle loro mamme e mentre le accompagnavano ai mercati per vendere la merce. Li ho visti colorati delle caratteristiche di ogni etnia, li ho visti fissarmi con distacco, guardare con curiosità e paura la macchina fotografica e li ho visti anche ridere, seguirmi, rincorrermi. Corse velocissime che finivano a rotolare per terra mentre ne abbracciavo quattro o cinque per volta dimenticando per un attimo le paure che provo e nascondo e lasciando fluire tutto quanto dentro di me, sentendomi così vicino a me stesso, volendomi bene.”

E insieme ai bambini le donne, i loro visi segnati e levigati dal tempo, dalla fatica e dalla stanchezza. Lavoratrici indefesse, madri sempre presenti, così femminili ed eleganti tanto negli abiti da lavoro quanto nei completi da cerimonia, tutti sempre cuciti con le loro mani. E la loro bontà, l’ altruismo fatto di gesti semplici e concreti. “Come quando a un mercato, uno dei più grandi che visitammo, dopo un dialogo silenzioso fatto solo di sguardi e di sorrisi con gli occhi, ho ricevuto da una donna una delle collane più belle e importanti, simbolo di forza, tradizione e memoria. Ma della loro generosità potrei fare mille esempi!”

Sotto la battente pioggia vietnamita ad uno ad uno scorrono nei passi i piccoli agglomerati: La Pan Tan, Mu Chan Chai, Sapa. Villaggi antichi con case costruite su palafitte, intorno solo terrazze di riso e valli sconfinate e le famiglie locali con cui condividere la casa e il cibo ma anche le usanze così radicate nel loro stile di vita come la consuetudine a recarsi al mercato.

“Quello di Can Cau è uno dei miei ricordi più belli. Un mercato in cui confluiscono le varie minoranze – i Thai, i Fula o i Tay – e le persone arrivano cariche di gioielli, di vestiti ricamati a mano, di prodotti da loro coltivati per barattarli con altri prodotti. Ricordo di aver acquistato lì una giacca in velluto di colore blu cobalto, un blu che dominava l’intero mercato, il blu dell’etnia degli H’mong fioriti.”

Poi giù verso il sud dove il Vietnam cambia faccia e svela uno stato di apparente benessere e ricchezza. Un Vietnam più dinamico dal punto di vista economico, popolato di turismo francese, americano, inglese e tedesco, specializzato nel turismo balneare e nella sartoria rapida, attrattivo dal punto di vista culinario. “Ma non è più Vietnam, o forse… è quello del futuro. E te ne accorgi sopratutto dopo aver trascorso del tempo, ne basta poco, in case di fango e paglia dove la ricchezza più grande è la vita stessa, i momenti insieme alle persone care, il focolare. Dove è determinante ciò che si possiede e non ciò che si guadagna, ciò che si condivide e non ciò che ci divide.”

Le città sono un insieme di tante cose, ci insegna Calvino ne Le città invisibili. Sono un insieme di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Perché, scrive lui, d’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

“Da questo Paese ho imparato a guardare con occhi sensibili e sempre nuovi ogni cosa, a viverla a pelle, in prima persona, tenendola dentro e così aggiungendo, ad uno ad uno, pezzi al grande puzzle di noi stessi. Ho preso coscienza del mio corpo e di ciò che mi lega a lui, della responsabilità che ho nel guidarlo. Non ho vinto la paura ma ho saputo guardarla dal di fuori. Non ho vinto i pieni e vuoti con i quali mi confronto ogni giorno ma ho imparato ad accettarli come parti di me. Ho imparato ad apprezzare il tempo condiviso con gli altri: il lavoro, il cibo, le tradizioni, i racconti, la memoria, i gesti e gli sguardi. Ho rivalutato il mondo intero, il mio: quello dentro che alcune volte ancora mi fa paura e quello fuori che mi accoglie. Così effimero eppure così prepotentemente bello.”

Desidero ringraziare per la cortese intervista Alberto Nidola – FacebookInstagram

Tutte le foto sono di Alberto Nidola

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