BARBARA PIGAZZI, L’URLO INCONTENIBILE DELL’ESISTENZA

Negli occhi, nelle mani, sugli zigomi, un rossore vivido che se lo guardi ti guarda con il cuore. Per dire della rumorosa grandezza e dell’infinita miseria dei rapporti umani. Per dire di un dolore interiore che si svela esteriore e va ad abitare un territorio ibrido tra fotografia e lavoro concettuale in cui la superficie sensibile alla luce restituisce immagini frutto di una operazione di stampo narrativo, di ricognizione emozionale, non semplice rappresentazione del reale.

“Ho cominciato presto a scattare, avevo su per giù 13 anni quando mi hanno regalato la prima polaroid. Ho iniziato con gli esperimenti sulla natura e poi sono passata a ritrarre me stessa. Ho fatto un grande lavoro su di me, una serie di autoritratti anche sfuocati, anche sbagliati, però mi sono divertita. Ma avevo paura di fare la fotografa, si vede che quello non era ancora il momento, che non ero pronta.”

Una carriera in aziende importanti come la ThyssenKrupp, poi, dopo il primo dei 3 figli, la decisione di affiancare il marito nell’attività di commercializzazione dell’acciaio Inox. La fotografia è una passione che cresce col tempo su di un percorso parallelo, prima da autodidatta poi con una formazione specifica e infine con l’apertura nel 2014 del proprio studio. Un maestro tra tutti: Mustafa Sabbagh.“Il maestro è stato sempre e solo lui! Ho fatto di tutto per incontrarlo, di lui mi ha colpita l’umanità, la sua sensibilità, i suoi occhi. Quando gli ho portato i miei lavori ha capito subito, senza tante spiegazioni. E’ un percorso che devi fare, quasi un diario intimo, mi ha detto. Ci sono lui e il sodalizio con la mia curatrice Enrica Feltracco. Una grande professionista che segue con attenzione il mio lavoro, ma anche un’ amica importante che mi conosce e sa tutto di me.”

Una riflessione e una ricerca sulla personalità femminile che, impegnata nella faticosa costruzione della propria identità, si scopre non più univoca ma multipla. E la necessità di spostare l’attenzione anche su un aspetto altro del proprio esistere mostrandosi, mostrando, come fosse in qualche modo ritrovamento di sé e della propria appartenenza.

“La ricerca è sempre la stessa, è la ricerca della bellezza, ma adesso è qualcosa di più interiore perché è cambiato il mio sentire. Sto vivendo una fase delicata della mia vita di donna, ho scoperto una parte nuova di me e intendo esprimerla, perciò il mio modo di fotografare si lega in maniera indissolubile al mio essere, al mio sentire che desidero mettere in scena.”

La fotografia permette un mantenimento, una sopravvivenza, del sentimento, dà sostanza e durata a ciò che altrimenti sarebbe impalpabile. A Peschiera del Garda (VR) la mostra in corso Femmina come la guerra è proprio la rappresentazione di una serie di sentimenti, mette in scena una situazione emotiva di violenza, di sofferenza, di desiderio anche, realmente vissuta.

“Questa mostra è il risultato di un momento di difficoltà mio personale vissuto mentre Enrica Feltracco stava lavorando al progetto Vera, una collettiva sul tema della violenza contro le donne. In quell’occasione ho voluto rappresentare la violenza con 3 opere: una donna con il pube coperto da un fiore rosso, l’anthurium, il fiore della sessualità, una donna con il pube coperto da un cuore e infine una donna con kimono e katana, lo sguardo dritto, la presa sicura. A dire che una donna se la ferisci, nel corpo o nel cuore non fa differenza, si ribella e diventa cattiva, una femmina cattiva come la guerra. A Peschiera la mostra si compone di 20 scatti, una installazione a parete, un letto con delle lenzuola sporche di sangue, 7 cuori racchiusi dentro la formaldeide e alcuni auto scatti realizzati in studio in un momento di grande sofferenza. Scatti di una persona che sta male, che ha avuto un attacco di cuore, di una persona che ha toccato molto a fondo sé stessa per arrivare fin lì.”

Nello spettatore ansia e incertezza, lo sconvolgimento di un viaggio nella realtà dell’ignoto, un viaggio che, per le sue turbolenze emotive, disintegra ogni certezza e sicurezza. Così anche per la Gabbia, la personale allestita lo scorso giugno a Padova presso la Sala della Gran Guardia, in cui il corpo prigioniero in una gabbia per animali o le urla soffocate dietro un velo non facevano altro che raccontare di una prigione interiore, silenziosa e assoluta.

“Un lavoro durato un anno, fatto insieme a una donna che è stata una parte di me. Come vogliamo definirla? Assistente? Convivente? Compagna di vita? Tutte queste cose insieme direi. Un lavoro molto lungo e molto difficile. Finita la mostra, quando si è trattato di disinstallare, in una notte ho distrutto tutto e filmato tutto. Non è rimasto più niente. Non ho paura, vivo tutto io. Solo che mentre prima quel tutto stava nascosto ora sento l’urgenza di dire, di manifestarmi, l’urgenza di vivere io credo. Chi mi vuole bene mi accetta e mi ama per quella che sono e soprattutto non mi giudica.”

Fragilità e coraggio si mischiano tanto nella vita quanto nella fotografia, al pari dei gesti che si impastano e si dissolvono nell’azione performativa. Il prossimo 15 gennaio a Peschiera, a conclusione della mostra Femmina come la guerra, “toglierò le bende e dirò: guardate pure le ferite, il corpo nudo, il mio corpo che diventa il corpo di tutte le donne. Perché io penso che questo modo di fare fotografia, così concettuale, così interiore e intimo, possa anche permettere a qualche donna di riconoscersi, di ritrovarsi.”

Un processo creativo legato all’inquietudine che genera immagini cariche di sentimenti spiazzanti, fotografie che illuminano modi interiori di stare al mondo. Questo mostrare in cui tutto si torce e distorce è come accostarsi a un territorio ultimo del vivere, a un mondo pieno di ombre e momenti opachi legati alla vertigine dei rapporti umani. Per dire della loro rumorosa grandezza. Per dire, anche, della loro infinita miseria.

Desidero ringraziare per la cortese intervista Barbara Pigazzi –  FacebookInstagram.

La mostra “Femmina come la guerra” è a Peschiera del Garda (VR) presso la Palazzina Storica fino al 31 dicembre 2016. Per info www.mveventi.com.

Foto, Silvia Morin

Location, Kryptos Materia

 

Comments are closed.