GALLLERIAPIU’, L’ESTETICA CON CONSEGUENZA

L’arte contemporanea in tutte le sue molteplici sfaccettature: i progetti che riguardano il visivo e l’arte performativa, ma anche la musica, una web radio, una libreria e un’area dedicata alla caffetteria. A Bologna GALLLERIAPIU’ non è un luogo che rimanda alla semplice nozione di galleria d’arte ma è uno spazio pluridisciplinare, articolato, che ambisce a tracciare un cambio di paradigma nel modo di intendere e proporre il contemporaneo. Un luogo pieno delle tante anime che compongono la stessa anima della sua fondatrice Veronica Veronesi.

“Non si tratta del classico white cube, è qualcosa di più. Avevo proprio desiderio di un luogo dove potersi fermare, pensare, dire, partecipare, un luogo aperto dove trascorrere il tempo. Ho voluto, nei primi cinque anni di attività, capire chi fossi io come galleria e definire una linea che penso adesso sia molto chiara. Ovvero, stiamo cercando un’estetica con conseguenza, questo il termine che ho messo a punto per definirci. Pratiche artistiche che abbiano una forte ricaduta su tematiche strettamente legate all’attualità: a volte disturbanti, a volte perturbanti, sicuramente sempre provocatrici di un pensiero. E’ questo che mi interessa comunicare. Mi piacciono artisti che non danno delle risposte ma che con il loro lavoro mettono in moto una riflessione e costringono a porsi delle domande. Non abbiamo la pretesa di rivelare nulla, siamo solo curiosi di quello che sta succedendo alla nostra società. Per me questo è il significato dell’arte contemporanea.”

Un’istanza di rinnovamento che si è espressa appieno, secondo una linea di continuità, nell’edizione appena conclusasi di Artfiera Bologna con la presentazione di un solo show dedicato al giovane artista Emilio Vavarella che dal 2016 collabora con la galleria. Formatosi a Bologna e dopo aver conseguito la specializzazione allo IUAV di Venezia, Vavarella sta attualmente frequentando il dottorato di ricerca in Film and Visual Studies and Critical Media Practice presso l’università di Harvard. Il suo è un lavoro di appropriazione digitale la cui poetica si focalizza sulla valorizzazione dell’errore, di quello che in apparenza può sembrare uno sbaglio. E ne inverte il significato. E lo eleva.

The Google Trilogy – Report a Problem è l’esito di un’ importante indagine condotta dal 2009 al 2012 in cui l’artista, comodamente seduto difronte allo schermo del suo computer, ha viaggiato dentro Google Street View definendosi lui stesso un flâneur della rete perché passo dopo passo, metro dopo metro, è andato in cerca dei glitch del sistema (in elettronica, glitch è il termine onomatopeico che indica genericamente i disturbi di breve durata che si manifestano in un impulso teletrasmesso, deformandone la forma d’onda ndr). Ne ha trovati ben cento, li ha collezionati e ha dato vita a questo ciclo di lavori che si compongono di paesaggi sbagliati, a volte concettuali, sicuramente unici nel loro genere.”

Già selezionato con queste opere tra i cinquantasei artisti nati dal 1980 in avanti per partecipare alla collettiva That’s It! al MAMbo di Bologna, voluta dal direttore del museo Lorenzo Balbi, Vavarella era presente in fiera con una selezione di dittici e trittici disposti in maniera randomica, come a creare delle nebulose colorate, che sono valsi a GALLLERIAPIU’ la selezione per il Premio Rotari oltre che l’acquisizione da parte della Collezione Maccaferri e al Premio omonimo dedicato alla sezione Immagine e Fotografia in Movimento.

Anche la tecnica di stampa è molto affascinante perché si tratta di sublimazione su alluminio. E’ la tecnica che più si avvicina alla luminosità dello schermo del computer e avviene attraverso la fusione ad altissima temperatura di una pellicola di plastica che si scioglie ed entra dentro l’anima del metallo.

“In anteprima assoluta per Artefiera presentiamo anche il suo nuovo ciclo di sculture in 3d. La serie, che si intitola The Other Shape Of Things – Data Morphosis, si compone di tredici sculture che fanno riferimento ai tredici miti del Libro I delle Metamorfosi di Ovidio. C’è alla base un’ operazione di auto sabotaggio del sistema di dati per la stampa: l’artista hackera il codice binario con il versetto latino corrispondente al mito scoprendo una similitudine tra l’impostazione grafica dell’esametro utilizzato da Ovidio e il codice numerico della programmazione binaria. Da questa idea di incrociare dati anche molto lontani e diversi, quelli numerici e quelli della scrittura latina, deriva una ricerca molto affascinate sulle forme delle cose. Una rappresentazione personale e casuale di cui nemmeno l’artista conosce a priori l’esito.”

I presupporti teorici e la coerenza intorno alla quale si fondano le scelte artistiche della Veronesi ci conducono, secondo quella linea di continuità di cui si diceva in incipit, dallo spazio della fiera a quello della galleria dove, a partire dal 2 febbraio scorso, è possibile vedere la prima personale dell’artista messicana Débora Delmar dal titolo “Stresses, blessed and coffe obsessed”. Un lavoro che analizza l’influenza della cultura europea dei caffè nello sviluppo delle città, nelle relazioni sociali e nello stile di vita contemporaneo. Una riflessione sulla svanita identità tradizionale dei Caffè letterari che da centri di aggregazione e produzione di pensieri e di idee si sono trasformati in esperienze relazionali ed estetiche fittizie al servizio della cultura consumistica.

Debora Délmar, Consumer Influence, Paramo Guadalajar 2017, courtesy of the artist and Paramo Guadalajar

Desidero ringraziare per la cortese intervista Veronica Veronesi, fondatrice di GALLLERIAPIU’ – web siteFacebookInstagram

Foto di Miriam Lopez de La Nieta 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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