HELEN MIRRA, amaro in ebraico (hebrew for bitter)

Si intitola amaro in ebraico (hebrew for bitter) la terza personale che la Galleria Raffaella Cortese dedica a Helen Mirra (Rochester, New York, 1970) negli spazi di via Stradella 1 e 4, fino al prossimo 12 novembre. La mostra, il cui titolo scelto dall’artista fa esplicito riferimento al suo cognome, che in lingua ebraica significa amaro, ha per protagonista un luogo a lei familiare: la Sierra nel nord della California e, nello specifico, i fiumi e le montagne che fanno da sfondo ai suoi frequenti peregrinaggi.

Ridotte a una radicale essenzialità, queste opere più recenti, presentate qui per la prima volta, ruotano intorno al tema della segnaletica che traccia alcuni sentieri di questi paesaggi, riproducendo i messaggi a grandezza naturale, ma in maniera speculare.

Ci sono stati segni, calligrafie e immagini di fiumi e montagne; questi dipinti rovesciati, scritti a mano, in scala, non sono nulla di tutto ciò. Il significante (il dipinto) si riferisce al luogo dall’altra parte del segno. Questi fiumi e montagne, in particolare, sono la Sierra nel nord della California.

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Rivelatore di assonanza e risonanza tra uomo e natura, il cammino costituisce per Mirra un’essenziale forma di meditazione, spesso all’origine della sua pratica artistica. Il suo approccio è frequentemente basato su lunghe passeggiate o escursioni e il lavoro che ne consegue, realizzato simultaneamente o in parallelo, ne è completamente permeato. Al punto che gli oggetti che l’artista trova durante queste sue camminate, immersa nella natura, vengono da lei stessa riutilizzati: appropriandosene, ne riformula il significato e ne offre una rilettura all’interno di un nuovo contesto narrativo. Film, video, suoni, parole, tessuti partecipano a un dialogo concettuale con i media tradizionali della scultura, della pittura o del disegno e danno vita a una combinatoria di oggetti e immagini astratti dal tempo e dallo spazio. Creano paesaggi fittizi che permettono al visitatore di esperire un altrove irreale in cui, come in occasione di questa mostra, Mirra fornisce indicazioni alternative, suggerisce un diverso tragitto. In entrambi gli spazi della galleria infatti, la parete principale (quella frontale) è stata lasciata intenzionalmente vuota e le opere si scoprono lateralmente.

Non si può non essere in qualche modo coinvolti dall’aspetto spirituale del suo lavoro: una sensibilità forse allineata al buddismo, per la qualità grezza e non mediata delle cose in sé e per sé, da cui scaturisce un’arte priva di ornamenti, di artifici e formalismi, capace, in modo sottile, di descrivere l’evento quotidiano oltre le soglie del fenomenico.

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Il progetto nasce dal testo che Mirra ha selezionato fra i ritratti di santi taoisti “Liexian Zhuanm”, noto come le “Leggende di Immortali”. Nel suo personale racconto della biografia scelta, l’artista traduce al femminile il maestro pittore, protagonista che si è sempre dato per scontato essere di sesso maschile. Tanto nella storia, dell’arte e della società, quanto nella mitologia, sono sempre più frequenti le scoperte di figure femminili il cui sesso è stato trasformato dalla voce narrante maschile.

C’erano dei muri bianchi e vuoti nel palazzo, su uno

di essi l’imperatore Minghuang ordinò a Wu Daozi di dipingere

un paesaggio. Daozi preparò dell’inchiostro e sparse l’intera ciotola

di inchiostro sul muro. In seguito rivestì il muro con un pezzo di stoffa,

che poi rimosse, come se volesse fare una stampa. Montagna, acqua,

foresta, animali: tutto ciò era compreso nell’oscuro dipinto. 

—estratto da Liexian quanzhuan (Wang Yunpeng, 1600 D.C.)

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Helen Mirra | amaro in ebraico (hebrew for bitter)

Galleria Raffaella Cortese | Milano, Via A. Stradella 1–4

22 settembre – 12 novembre 2022

Credits: Helen Mirra, amaro in ebraico (hebrew for bitter), vedute della mostra alla galleria Raffaella Cortese, Milano, 2022, Ph. Lorenzo Palmieri 

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