LA TERRA INQUIETA

Alla Triennale di Milano è stata da pochi giorni inaugurata la mostra La terra inquieta, ideata e curata da Massimiliano Gioni, promossa da Fondazione Nicola Trussardi e Fondazione Triennale di Milano, parte del programma del Settore Arti Visive della Triennale diretto da Edoardo Bonaspetti.

Una esposizione densa di opere che raccoglie i lavori di più di 65 artisti provenienti da tutto il mondo per una riflessione comune sulla dolorosa questione dei migranti e sull’urgenza della crisi dei rifugiati: nodi imprescindibili del nostro presente. La volontà è quella di sollecitare la coscienza collettiva dando voce alle moltitudini silenziose attraverso installazioni, video, immagini di reportage, materiali storici e oggetti di cultura materiale che testimoniano le trasformazioni in atto. Il risultato è un toccante affresco corale, una documentario dai toni lirici in cui l’approccio estetico degli artisti si combina con quello etico e la molteplicità di narrazioni restituisce una idea polifonica della realtà. Rappresentare la sofferenza, il dramma, facendo nessuna concessione alle vicende di cronaca ma provando a fare un esercizio di empatia, un esperimento di comprensione, evidenziando così la vocazione civile dell’arte, il suo essere chiave interpretativa del mondo, strumento per capire il tutto intorno a noi, utile a decifrarne la complessità.

Si legge in una delle pagine de “Il settimo uomo” di John Berger e Jean Mohr, in cui lo scrittore inglese e il fotografo svizzero analizzano il fenomeno della migrazione nell’Europa degli anni ’60 e ’70, che: “La storia degli ultimi due secoli, se si lasciano perdere gli apologeti, è nientedimeno che infernale. E’ difficile credere che il concetto di Male in quanto forza sia stato abbandonato proprio durante questo periodo.”

Parole quanto mai attuali che accompagnano in un silenzio assordane le parabole di questi esseri umani che sembrano quasi non contare, così come non contano i giorni delle loro esistenze.

C’è un ponte fatto di bambini e barche giocattolo costruite con sandali e infradito nell’opera di Francis Alys, Don’t Cross the Bridge Before You Get to the River. C’è il Mar Morto di Kader Attia, magliette e jeans abbandonati sul pavimento a evocare un naufragio e di fianco una scritta al neon che lampeggia Mare Nostrum  – Mare Mostrum dell’artista Runo Lagomarsino. C’è un relitto arenato al centro della stanza al piano superiore, colmo di sacchi di immondizia: si chiama Hope, significa speranza, ed è il lavoro di Adel Abdessemed. Ma c’è anche spazio per l’arte come forma di attivismo, di partecipazione politica più che estetica. E’ il caso dell’artista cubana Tania Bruguera che presenta il Manifesto dei diritti dei migranti e propone una petizione affinché lo Stato del Vaticano conceda la cittadinanza a tutti gli apolidi, sulla base della convinzione che esso sia la nazione più contemporanea, quella in cui i confini contano meno dei valori condivisi. E ancora, la rivisitazione, creata appositamente per questa occasione, del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo ad opera del cinese Liu Xiaodong realizzata in collaborazione con gli ospiti dei centri d’accoglienza milanesi che vanno a sostituire i contadini dell’originale.

All’interno della mostra anche una piccola parentesi dedicata alla migrazione italiana di inizio ‘900, quando gli immigrati eravamo noi. Tra la fine del secolo scorso e l’inizio della seconda guerra mondiale 26 milioni di italiani lasciano la nazione e con durezza le immagini ci riportano ai nostri connazionali imbarcati sui piroscafi, alla sciagurata e disperata migrazione di quegli anni.

La mostra si conclude con un’opera di Steve Mc Queen, il video sulla Statua della Libertà alla cui base si leggono le parole lontane eppure vicine di una poesia scritta nel 1843: La madre degli esuli accoglie gli stanchi, i poveri, le masse infreddolite, gli scossi dalle tempeste, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge.

Lo spettro ossessivo dell’insicurezza in queste storie di migranti, storie di una attualità in cui i luoghi anelati, i luoghi in cui aspirano ad accedere o stabilirsi, difficilmente possono fungere da fulcro per progetti di vita. Una mobilità e fragilità che ci colpisce tutti. E non ci lega al futuro.

La Terra Inquieta a cura di Massimiliano Gioni, una mostra promossa da Fondazione Nicola Trussardi e Fondazione Triennale di Milano. La Triennale di Milano, 28 aprile – 20 agosto 2017.

In copertina: FRANCIS ALŸS in collaboration with Julien Devaux, Felix Blume, Ivan Boccara, Abbas Benheim, Fundacié on Montenmedio Arte, and children of Tanger and Tarifa – Don’t Cross the Bridge Before You Get to the River Strait of Gibraltar, 2008 Video and photographic documentation of an action Courtesy Francis Alÿs and David Zwirner, New York/London

ADEL ABDESSEMED, Hope, 2011-2012 Boat, resin 205.7 x 579.1 x 243.8 cm © Adel Abdessemed, ADAGP Paris Photo Maris Hutchinson/EPW Studio Courtesy of Adel Abdessemed

MANAF HALBOUNI, Nowhere is home, 2015 – Mixed media, dimensions variable © Manaf Halbouni

MOUNIRA AL SOLH, Now Eat My Script, 2014 – Video, color, sound 24’ 50’’ video still Courtesy Mounira Al Solh and Sfeir-Semler Gallery Hamburg /Beirut
RUNO LAGOMARSINO, Mare Nostrum, 2016 – Neon sign 26.50 x 250 cm Courtesy Francesca Minini, Milan and Collection Agovino, Naples
ADRIAN PACI, Centro di permanenza temporanea, 2007 – Video, color, sound 4’ 32’’ video still Courtesy Adrian Paci and kaufmann repetto, Milan / New York
ZOE LEONARD, Robert, 2001 – 10 suitcases 185 x 54.6 x 50.8 cm Fondazione Museion. Museo d’arte moderna e contemporanea, Bolzano Collection Enea Righi Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milan
LEWIS WICKES HINE, Indianapolis fruit venders, Italian boys, Indianapolis, Indiana – August 1908 Photographic print National Child Labor Committee Collection, Prints & Photographs Division, The Library of Congress, Washington, DC

 

 

 

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