NICOLA BERTELLOTTI, LA FOTOGRAFIA DELL’ ABBANDONO

Rovine che scivolano nel bagliore di un sole freddoloso. Più in profondità si nasconde qualcosa di bello, qualcosa che muta in ricchezza. Nella ricognizione scrupolosa della fine, dei luoghi in cui risplende certa luce di tristezza, una nuova luce di lampo, un nuovo senso di pace. Anche quando protagonisti sono i teatri della sofferenza, brutte pagine di storia scritta come quelle del manicomio di Racconigi in Piemonte. E’ la fotografia di Nicola Bertellotti. Fenomenologia della fine.

“Intendo la fine di quello che i luoghi hanno rappresentato ma anche il loro nuovo inizio, come se con la fotografia gli potessi dare vita nuova. Io vedo qualcosa di magico in questi posti perché il tempo, la stratificazione del tempo, li ha astratti totalmente da quello che erano e ne ha fatto qualcosa di diverso, qualcosa che per me è di una bellezza sconvolgente.”

La fotografia era una passione, una come tante, come il cinema, come i viaggi, e serviva a fissare le esperienze, gli oggetti incontrati lungo il cammino, le cose che investivano i sensi.

“Poi un giorno, durante un viaggio, mi sono trovato difronte al primo luogo abbandonato: era un parco di divertimenti. C’è stata in quel momento una vera e propria madeleine proustina perché da piccolo con mio padre avevo visitato un luna park arrugginito e fatiscente e mi ricordo il fascino che aveva esercitato su di me bambino. Quando da adulto, con la macchina fotografica appesa al collo, mi sono trovato difronte al primo luogo abbandonato ho avvertito l’impulso irrefrenabile di immortalarlo. C’era qualcosa che proprio dall’infanzia mi chiamava. Ho provato ancora lo stesso senso di meraviglia e stupore che avevo provato da piccolo e ho usato la fotografia come mezzo per filtrare quell’attrazione che sentivo molto forte. Così è iniziata la mia avventura.”

Sono immagini che narrano la geografia dell’invisibile, affreschi corali che guidano gli occhi dentro una visione d’insieme, nell’interezza del tutto dimenticato, nel celato intorno a noi, quando tesori o affreschi si nascondono dietro il vetro rotto di una fabbrica o dietro la vegetazione incolta di una villa. Immagini che si accompagnano a parole, titoli che cercano di tracciare un comune denominatore tra soggetto che inquadra e oggetto che si fa inquadrare, un invito che non è necessariamente da accogliere ma vuole essere un suggerimento. Riferimenti culturali mutuati dalla letteratura, dalla musica, dal cinema, di cui è denso tutto il lavoro di Nicola.

“Appena varco la soglia c’è sempre una sensazione di famigliarità, l’impressione di aver già visto, sentito o letto. E’ come se perdendo la loro funzione questi luoghi iniziassero ad assomigliare a qualcosa che era già in me, come se si verificasse una sorta di transfert. Perché il tempo e l’assenza dell’essere umano rende questi spazi totalmente nuovi e diventano quelle cose che magari mentre leggevo un libro non avevano immagine ma poi improvvisamente si rivelano. Su tutto la non trascurabile fascinazione della storia. In posti come la casa del contadino, testimoni della micro storia, dove ci trovi una lettera a terra, una foto di famiglia o in luoghi come la casa di Camillo Benso Conte di Cavour, testimoni invece della macro storia.”

A monte un grande lavoro di progettazione e di ricerca. Un meticoloso sforzo preparatorio che impone di studiare le mappe, aver cura della propria sicurezza, preparare i viaggi nei minimi dettagli lasciando nulla al caso, specie quando si tratta di andare all’estero e deve essere buona la prima perché non c’è magari possibilità di tornare.

C’è una componente ossessiva, lo confesso, che accompagna la ricerca dei luoghi perché l’adrenalina e la sensazione di piacere che si prova quando se ne scopre uno è davvero grande, una specie di droga. Scatta subito il senso dell’avventura e il rischio e la precarietà di questo genere fotografico diventano un valore aggiunto.”

Una fotografia che nella sua naturale evoluzione inizia a uscire dagli interni, dai luoghi chiusi, per farsi testimone di paesaggi non comuni. Nella mente le grandi moltitudini di Burtynsky, gli estuari dei fiumi, orizzonti che diamo per scontati ma che la fotografia invita a considerare da una prospettiva diversa.

“All’inizio fotografavo luoghi abbandonati indistintamente, erano tutti uguali per me, tutti interessanti allo stesso modo. Ora sento che questa cosa mi sta un po’ stretta, ho bisogno di nuovi stimoli. Voglio per esempio provare a esplorare il rapporto tra la fotografia e la fantasia letteraria e realizzare progetti inerenti temi più specifici come quello dell’inaspettato. La fotografia del paesaggio inaspettato, ecco, vorrei che fosse questa la mia frontiera futura.”

 Desidero ringraziare per la cortese intervista Nicola Bertellotti.

Il suo lavoro è rappresentato dalle gallerie d’arte AlidemMaelstrom e Sensi Arte e sarà prossimamente in mostra a Cascina Farsetti Art.  

In copertina: Nicola Bertellotti, The rime of the ancient mariner 

Nicola Bertellotti, Atlantis resurfaced

Nicola Bertellotti, Leftover

Nicola Bertellotti, The Pearl

Nicola Bertellotti, Peripeteia

Nicola Bertellotti, Death Star Core

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