AFRICAN TEXTURES

Se è vero che il continente africano è un potente aggregato di entità storiche ed etniche è altrettanto vero che la tensione e la spontaneità felici con cui si esprime il suo linguaggio artistico, nel tentativo di imporsi come linguaggio autonomo, si manifesta come puro vigore, forza rinnovatrice che ne mette in luce la fecondità vigorosa.

Un’energia inedita che inequivocabile emerge dal lavoro delle tre artiste emergenti dell’Africa del Sud nella mostra che Osart Gallery di Milano ha appena inaugurato tributando omaggio a Jeanne Gaigher (1990, Cape Town), Kresiah Mukwazhi (1992, Harare, Zimbabwe) e Marlene Steyn (1989, Cape Town).

La collettiva dal titolo African Textures, grazie a un’accurata selezione di nove opere, affronta l’elemento pittorico con un approccio multimediale esaltando le significazioni di una texture che fa rifermento tanto alla tecnica utilizzata nei lavori esposti quanto alla struttura sociale e politica dell’Africa all’interno della quale si incrociano e sovrappongono culture e contesti differenti. Trama e ordito che concorrono a formare una tessitura umana e, al contempo, restituiscono una tattilità sensoriale alle opere, esito di un principio di vitalità intuitiva e pulsionale.

Marlene Steyn, What the forest metabolise, 2015

Marlene Steyn, What the forest metabolise, 2015

“Ero già stato in Sudafrica nel 2008” racconta Andrea Sirio Ortolani fondatore della galleria, “quando ancora il mercato e il sistema dell’arte erano piuttosto acerbi. Ma ho mantenuto inalterata nel tempo la curiosità per quel Paese perché secondo me lì c’è un grande potenziale e ci sono ancora molte storie da raccontare. L’abolizione, nel 1994, dell’apartheid ha segnato un vero e proprio punto di svolta perché gli artisti che sono nati in quel momento storico o hanno vissuto in prima persona gli importanti cambiamenti che ne sono conseguiti, le battaglie per l’emancipazione, hanno utilizzato quell’ evento come motore trainante della loro creatività. Io poi ho selezionato tre artiste donne privilegiando un punto di vista ulteriormente diverso perché certamente la figura femminile deve lottare ancora più duramente per ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Un lavoro di scoperta che è stato molto stimolante. Non voglio dire che l’Europa sia stanca ma oramai, soprattutto nell’arte moderna e contemporanea, il sistema è così consolidato che spesso, almeno per come lo vedo io, rischia di risultare piatto. In questa mostra si percepisce invece uno spirito completamente nuovo, reso ancora più incisivo dall’uso del colore e dall’utilizzo dei materiali.”

Marlene Steyn, Couple Face Suit (The palmtree version), 2013

Marlene Steyn, Couple Face Suit (The palmtree version), 2013

L’arte di Jeanne Ghaigher, grazie agli strati di tessuto e tela sovrapposti o cuciti sui quali vengono poi fissati colori acrilici, inchiostro e inserti in tessuto, è come un invito alla lettura, un’esortazione a sfogliare pagine fatte di materia e pittura anziché di parole. Cristallizzati nelle opere, paesaggi o momenti di vita vissuta catturati attraverso l’uso dello smartphone e poi riprodotti secondo l’esaltante intensità dei colori della sua terra: il verde ruggine, il giallo, il grigio, il marrone.

Jeanne Gaigher, The way through Fish  Fountain I & II, 2019

 Jeanne Gaigher, The way through Fish Fountain I & II, 2019

L’intenzione di Marlene Steyn è decisamente più figurativa e ha lo scopo di analizzare la pluralità dell’identità umana cercando di dare un senso a quest’ultima in relazione al caos, cifra del nostro tempo. L’artista che lavora principalmente su tela, spesso liberata dalla grande ossatura in legno, sulla quale dipinge con oli, acrilici, inchiostro aggiungendovi poi plastilina e altri materiali di recupero, compone un linguaggio simbolico che trascina lo spettatore dentro una dimensione onirica, intima e profonda.

Marlene Steyn, Stoke my palms and flush my knee, 2016

Marlene Steyn, Stroke my palms and flush my knee, 2016

La ricerca di Kresiah Mukwazhi si distingue invece per la sua impronta di stampo marcatamente sociale. I temi che l’artista indaga vertono intorno alla condizione femminile nel territorio africano: la violenza di genere, l’aggressione sessuale, il ruolo della donna in relazione alle norme imposte dalla società patriarcale. Riti e credenze popolari dello Zimbabwe – come quello per il quale un uomo può avere un rapporto sessuale a distanza con una donna senza il suo consenso impadronendosi simbolicamente di un indumento intimo appartenente alla vittima – pervadono lavori in cui la lingerie femminile, l’utilizzo di spalline di reggiseni, pizzo o seta, riportano l’attenzione sulla fragilità della condizione in cui ancora versa la donna.

Kresiah Mukwazhi, Kusexira To Seduce, 2018

Kresiah Mukwazhi, Kusexira To Seduce, 2018

La mostra è il risultato della sommatoria di elementi eterogenei, cromie vivide e metamorfosi formali, tasselli di un universo variegato e multiforme che si sostituiscono alla forma fissa della pittura e portano alla luce un materiale creativo ancora parzialmente sconosciuto.

“C’è, in generale in Sudafrica, un clima molto vivace e un desiderio di apertura a un contesto più ampio che non sia esclusivamente quello domestico. A parte il museo nazionale esiste anche un museo privato, il Zeitz (Museum of Contemporary Art Africa ndr), che a Cape Town organizza delle bellissime mostre, oltre all’importante Norval Foundation e a un tessuto di gallerie private che sta iniziando a crescere e strutturarsi. Per tutta questa serie di ragioni sono andato in loco, ho cominciato a conoscere le persone, a visitare gli studi degli artisti, a incontrare i galleristi, a creare cooperazioni, cercando di capire chi fosse affine al mio gusto e da lì sono partito per realizzare questo progetto. Ma non resterà sicuramente un episodio isolato, nel senso che intendo dare continuità a questa prima iniziativa facendo un focus molto ampio sul territorio sudafricano. A febbraio inoltre parteciperemo alla Cape Town Art Fair esibendo le opere di Amelia Etlinger e Kresiah Mukwazhi. Sarà un accostamento interessante: due generazioni diverse e due strutture culturali diverse – americana vs africana – in un dialogo vicendevole che muova dal comune lavoro sul tessuto e sul materiale di recupero.”

Jeanne Gaigher, Conditions of the day II, 2019

Jeanne Gaigher, Conditions of the day II, 2019 

Osart Gallery, African Textures

Osart Gallery, African Textures, installation view
In copertina: Kresiah Mukwazhi, Mubobobo Shuwa Here?, 2015

African Textures: Jeanne Gaigher, Kresiah Mukwazhi, Marlene Steyn

Osart Gallery, Milano Corso Plebisciti 12

fino al 1 febbraio 2020

martedì – sabato 10-13 | 14.30-19 (entrata libera)

web siteFacebookInstagram 

Foto Elisabetta Brian 

Abiti Adriana Morandi, Orecchini Elena Brasa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Comments are closed.