DIALOGO CON CATERINA VERARDI SULLA PERFORMANCE ART

L’opening della mostra RiGenerazione di Francesca Lolli presso lo Spazio Kryptos di Milano è stato anche l’occasione per approfondire con l’art advisor Caterina Verardi alcuni degli aspetti fondamentali della performance art.

D: Il coinvolgimento del corpo dell’autore, dello spettatore o di entrambe le parti. In quale contesto socio-culturale iniziano a prendere piede le pratiche performative e perché?

CV: La performance è la figlia più sfacciata del ‘900, ne prende tutti i temi fondamentali, li mischia e li rende artisticamente estremi. Tre questioni su tutte:

  • Il novecento occidentale è il secolo dell’Io, studiato e psicanalizzato, se ne individuano l’irrazionalità profonde e i confini logici, i desideri e le negazioni. L’individuo non è più un’unità ma un vasto terreno di esplorazione, che diventa una vera ossessione per gli artisti. Così la performance pone il focus sulle emozioni, vasti terreni d’ombra inesplorati che vengono percorsi attraverso le emozioni più estreme. 
  • Il corpo è lo scrigno della nostra individualità e mai come nel secondo dopo guerra il legame tra corpo e identità si fa vicino. Molti artisti come Salvador Dalì o Andy Warhol faranno di se stessi la loro più grande opera d’arte. Il corpo diventa un mezzo, come la tela e i pennelli, per comunicare la propria arte. Il corpo sarà, anche, il protagonista delle battaglie per i diritti umani, come simbolo di una società più libera e inclusiva. Il novecento scopre un corpo nuovo: femminile. 
  • L’arte, nel nostro secolo più che in ogni altro, s’è affidata il ruolo di profanatrice delle convenzioni, paladina del nuovo e di tutto ciò che è esteticamente sconvolgente. La performance art sperimenta concetti e va oltre, attraverso un linguaggio fatto di forti emozioni, in nome della sovversione dell’estetica comune.

Dalla mostra "RiGenerazione" di Francesca Lolli - Spazio Kryptos Milano 27-30 giugno 2017 - Foto Elisabetta Brian 

D: I ready made di Duchamp che “inglobano lo spettatore” e la pittura gestuale di Pollock possono essere considerati precursori dell’arte performativa e delle installazioni?

CV: Sicuramente entrambi costituiscono un precedente importante per la nascita della performance art. Duchamp si fa portavoce di un fondamentale cambiamento: l’avvento del valore concettuale dell’arte. Mentre Pollock ci mostra come il confine tra processo creativo e opera finale possa essere labile se non nullo, rendendo la tela dipinta il racconto di un precorso che è forse più artistico dell’opera stessa. Ma, alla ricerca di art performer ante-litteram, non possiamo non aggiungere un terzo maestro: Yves Klein. Con la performance Manifestazione del Vuoto, del 1958, mette in mostra un concetto puro e prezioso: “l’assenza”. Nessuna immagine da vedere solo una galleria vuota da contemplare sorseggiando un cocktail blu, International Klein Blue, che avrebbe reso l’urina colorata per circa una settimana. L’opera consisteva nell’esperienza (il vuoto, il cocktail, il blue) e il collezionista poteva acquistare l’idea tramite un certificato. C’è tutto: il focus è l’emozione dello spettatore; il corpo è il tramite, è il linguaggio; l’opera è un progetto; quello che mi porto a casa un’esperienza.   

Durante la mostra "RiGenerazione" di Francesca Lolli - Spazio Kryptos Milano 27-30 giugno 2017 - Foto Elisabetta Brian 

D: E’ corretto dire che la pratica performativa concentrandosi sull’esserci, sulla mera relazione fisica tra artista e spettatore sposta l’attenzione dal risultato finito al processo?

CV: È esattamente così. Alcune performance addirittura non prevedono che l’esperienza porti alla produzione di un oggetto artistico. Il mondo dell’arte performativa si muove tra artisti i cui lavori sfociano in una serie di fotografie o video che hanno un valore artistico di per sé, come le opere di Vanessa Beecroft, e artisti che si esprimono solo nella dimensione performativa, dove video e fotografie hanno esclusivamente un carattere documentaristico, come capolavori di Vito Acconci. 

D: Performance, riflessione sul corpo e emancipazione femminile: le esperienze di Gina Pane, Marina Abramovic, Orlan e Hannah Wilke tanto per citarne alcune.

CV: La questione femminile passa attraverso il corpo delle donne, e, a partire dalle prime riflessioni e rivoluzioni, l’arte non poteva restare indifferente. Le performer che hai citato costituiscono una sorta di paradigma artistico della nuova identità delle donne, dal quale ha avuto origine una moltiplicazione di riflessioni su alcuni dei temi più profondi degli ultimi trent’anni: le esplorazioni del corpo, tra limiti e forza, di Gina Pane; l’ascetica durezza di Marina Abramovic, il cui femminile rappresenta un’universale consapevolezza, oltre ogni genere; le infinite mutazioni di Orlan, alla costante ricerca di Identità. 

Dalla mostra "RiGenerazione" di Francesca Lolli - Spazio Kryptos Milano 27-30 giugno 2017 - Foto Elisabetta Brian 

D: Si può parlare di un valore di mercato in rifermento alla video performance e alla video arte in generale?

CV: Certamente, le performance sono opere d’arte e possono essere acquistate. In verità, questa originale modalità di possesso è parte della rivoluzione estetica innescata dalla performance art, perché il collezionista non acquista più un oggetto bensì un’idea. La testimonianza di questa proprietà può essere dimostrata in diversi modi. Si può acquistare una fotografia oppure un video, realizzati dall’artista come frutto del lavoro performativo, diversamente, ci sono alcuni artisti che vendono il progetto, ovvero la possibilità di riprodurre la performance quando il collezionista lo desidera (in alcuni casi – molto esclusivi – il protagonista può essere anche l’artista stesso).  Il valore di queste opere risiede esclusivamente nel loro potere concettuale, nell’idea di possedere, anche solo in parte, qualcosa che ha avuto luogo in un certo momento e che mai più si ripeterà, se non per gli occhi di chi l’ha comprato. Facilmente, si può comprendere come il prezzo abbia un valore totalmente simbolico, tant’è che in alcuni casi il pagamento è parte integrante della esperienza artistica: Yves Klein pretendeva di essere pagato solo con oro puro e non col vile denaro.

Francesca Lolli, RI-GENERAZIONE (2017) video performance - in mostra a Milano presso Spazio Kryptos 27-30 giugno 2017 - Foto Elisabetta Brian

D: Chi oggi è interessato alla video arte e investe in essa?

CV: Il collezionista appassionato di performance art ha un approccio decisamente non convenzionale all’acquisto. Probabilmente, la sua collezione sarà composta da contratti, cd e fotografie: incorniciati, proiettati o appesi a testimonianza dell’esclusività e della raffinatezza del gusto del proprietario. Se, agli esordi di questa forma d’arte, acquistare il video o le fotografie di una performance era una vera stravaganza, oggi è una pratica molto più diffusa. È un mercato che, a mio avviso, è destinato a essere sempre meno riservato a collezionisti d’avanguardia. Oggi, da un lato siamo molto più avvezzi a utilizzare supporti tecnologicamente avanzati (l’idea di esporre uno schermo che proietti un video in loop in salotto non risulta poi così stravagante), dall’altro la nostra sensibilità verso l’immagine ci conduce sempre più verso esperienze artistiche totalizzanti, che ci creino sensazioni forti ed estremamente coinvolgenti, sia per la dimensione sensoriale che per quella immaginativa. Vogliamo un’arte che ci scuota, e sconvolga, e che ci metta addosso qualcosa dal quale non ci libereremo facilmente.

In copertina: con Caterina Verardi all'opening della mostra di Francesca Lolli "RiGenerazione" Spazio Kryptos 27-30 giugno 2017 - Foto Elisabetta Brian

Desidero ringraziare per questo approfondimento l’art advisor Caterina Verardi – web siteFacebookInstagram

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