DIEGO SALERNO, ABITARE L’ABITO

Tagliare, sperimentare, assemblare, creare linee nuove – prevalentemente sbieche – per dare ai singoli capi caratteristiche uniche e individuali. Insieme a un uso parsimonioso del colore perché non abbia, in fondo, a distrarre. Disegnare i contorni di una femminilità che esuli dal perimetro del noto e si riversi, piena di significato e di senso, nel senso del corpo. Il senso di un vestire che esige di abitare l’abito, di farlo proprio attingendo alla radice più profonda del suo etimo: un modo di essere, una disposizione dell’animo e poi vestimento, tutto ciò che siamo destinati o soliti ad avere con noi, a portarci dietro continuamente.

“Ma non so definire il momento in cui questa cosa è iniziata, è sempre stata dentro di me io credo. Un modo di vivere, ecco cosa è la moda per me. E’ tutto! Nel senso che non la considero né come un lavoro né come una imposizione, è semplicemente e naturalmente una parte del mio essere. Non c’è un momento della giornata in cui io non pensi a quello che potrei creare, è come un automatismo che mi porta ad avere nella testa tutti i giorni progetti su progetti da elaborare.”

Un diploma di perito tessile conseguito all’Istituto Tecnico, interessi che spaziano dall’arte, alla filosofia, alla letteratura, la fotografia e il cinema, Diego Salerno scopre presto la sua attitudine creativa e mette a frutto la sua poliedricità lavorando, appena terminati gli studi alla scuola superiore, al fianco della designer milanese Gentucca Bini. 

“Un incontro che ho fatto grazie a B.LIVE, la collezione di moda realizzata nell’ambito del Progetto Giovani della Pediatria Oncologica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano presso il quale sono stato in cura. La malattia è stata un momento importante della mia vita. E’ arrivata che avevo dieci anni e ne sono uscito che ne avevo quasi sedici, nel pieno dell’adolescenza. Certamente non facile, ma sotto molti punti di vista posso dire che è stata un’ esperienza formativa, mi ha fatto cambiare modo di pensare, di vivere e di progettare la mia vita. E’ cambiato proprio il modo di vedere le cose. Quello che la malattia mi ha tolto mi ha poi, in un certo qual senso, restituito. Non posso dire che si dimentichi o che tutto passi, perché qualcosa rimane per sempre sia nel fisico che nello spirito però non intendo fare del vittimismo, anzi, considero quello come il punto di partenza di tante cose. Grazie alla malattia ho potuto conoscere persone con le quali ho poi condiviso momenti importanti come appunto l’esperienza all’interno del Progetto Giovani dedicato ai pazienti adolescenti malati di tumore con l’obiettivo di occuparsi non solo della malattia ma della vita dei ragazzi, facendo entrare in ospedale la loro normalità, la loro creatività, la loro forza. Facendo leva sull’arte e la creatività come strumenti a completamento delle attività mediche e psicologiche di supporto. Lì è scattata la molla che mi ha permesso di capire che volevo lavorare nel mondo della moda. E sempre lì ho conosciuto Gentucca Bini che, conseguito il diploma, mi ha proposto uno stage. Ero un giovanissimo ragazzo che non sapeva nulla e che ha dovuto imparare a stare all’interno di uno studio, a lavorare in un team e soprattutto a trovare soluzioni anche quando in apparenza non esistono.”

Inizia poi il percorso universitario allo IED, dove frequenta il corso triennale di Fashion Design, grazie a una borsa di studio messa a disposizione dal gruppo Condé Nast e consegnatagli durante una cerimonia all’Accademia di Brera alla presenza di Anna Wintour.

“Non un arrivo ma un punto di partenza. Ho studiato e vissuto in quei tre anni non come se frequentassi l’università ma come se fossi in un’azienda e dal primo giorno ho dato anima e corpo. E’ stato un periodo molto impegnativo, anche proprio dal punto di vista fisico, ma oggi credo che sia servito tutto quello sforzo perché riesco ad elaborare dei concetti e a dargli forma in tempi molto brevi. E questo mi è davvero funzionale considerando i ritmi veloci che il mondo del lavoro impone.”

Il ciclo di studi di conclude con il progetto di tesi Feel’Onoff e la sfilata al Museo della Scienza e della Tecnica nel giugno del 2016 in cui Diego si manifesta in tutta la sua libertà creativa.

“La vicenda della mia malattia è stata lo stimolo da cui partire per elaborare la tesi. Feel’Onoff rimanda a qualcosa che è: accesso e spento, giusto o sbagliato, buono o cattivo, dentro o fuori, sopra o sotto. Io e il mondo. L’isolamento, la visione distorta del reale, il cambiamento fisico, sono parte integrante della vita di un corpo che è, o è stato, malato. Dopo aver studiato e analizzato in modo approfondito tutti questi concetti, la sfida è stata quella di tradurli nella progettazione di una collezione di moda dai caratteri antropologici.”

Una estetica che si nutre di passioni, di stralci filosofici e letterari, di uno sguardo articolato sul corpo e le sue mutevoli sfaccettature, del decostruzionismo dell’impareggiabile maestro Martin Margiela il cui lavoro “è stato fondamentale nella mia vita, davanti a una sua creazione non posso non emozionarmi.” E che approda all’esito finale, alla realizzazione dell’abito, solo dopo un lungo, quasi estenuante, processo di riflessione e progettazione.

“Dove voglio arrivare? La mia storia di vita mi porta a non dare mai nulla per scontato, a vivere molto giorno per giorno, ma sogno di realizzarmi come designer e di poter essere il direttore creativo di me stesso e del mio brand. Sento forte la necessità di esprimermi attraverso questa concezione del vestire. Dentro i miei abiti ci sono io, molto e sempre, tant’è che quando ho esposto la tesi ho detto alla commissione: io e queste ragazze vestite con le mie creazioni siamo la stessa cosa; sono arrivato a una soluzione, ho esteriorizzato tutto quello che avevo dentro portando il mio lavoro davanti ai vostri occhi.”

Desidero ringraziare per la cortese intervista Diego Salerno – FacebookInstagram 

Foto di Elisabetta Brian

 

 

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