LA LOCANDIERA POP DI CORRADO D’ELIA

Ritmo. Dinamico e brioso. Che danza su di un tappeto drammaturgico articolato, fatto di parole e musica, luci e colori, plastica e design. La ricerca della contemporaneità intercetta l’abilità di un visionario Corrado D’Elia che forgia La Locandiera di Goldoni dentro un costrutto dai tratti pop. E ne fa una Mirandolina artificiosa e sgargiante, vibrante nell’acceso giallo platino della parrucca e nel rosa shocking dei suoi vestiti, che ti aspetteresti di vedere comparire in serie sui barattoli della salsa di pomodoro alla maniera di Warhol. Attore e regista, drammaturgo e ideatore di eventi e rassegne culturali, fondatore del progetto Teatri Possibili, dal 1998 direttore del Teatro Libero di Milano, Corrado è considerato una delle personalità più di rilievo dell’attuale panorama teatrale italiano. Con coraggio prende la parola di Goldoni “che risuona ancora di credibilità”, dice con fermezza, e ne fa un racconto abile a dipanarsi nel tempo presente.

Contemporaneo è tutto ciò che emoziona oggi. Questo per me è importante, il rapporto con il tempo, perché non ha senso la distinzione tra grande classico e drammaturgia contemporanea o arte classica e artista contemporaneo. Contemporaneo è quello che ancora oggi, nel nostro tempo, sa raccontare qualcosa.” 

Una narrazione che ridisegna il perimetro entro il quale si articola la parola contaminandola con altri e diversi strumenti. E vira decisa verso una comunicazione a più strati.

“Molto teatro spesso intende la parola, la drammaturgia della parola, come linea principale della comunicazione. Ma abbiamo a disposizione anche i colori, quindi la drammaturgia dei colori. E la musica, quindi la drammaturgia della musica. E quella dell’azione, e quella della luce. E tutte si sovrappongono a costituire un unico racconto.” 

Dentro un setting di suggestioni cromatiche, contemporaneo anche quello. Perché onirico, perchè capace di trascendere i confini di spazio e di tempo consegnandosi a un ipotetico per sempre. Imperituro, perché pulsante dentro un sogno, quello del suo regista, che lo condivide con il pubblico.

Per me sono tutti sogni, momenti immersi dentro un sogno. Mi piace il teatro di interpretazione benché La Locandiera non sia lo spettacolo più rappresentativo di me, non avendo una base emotiva di grande rilievo. Puoi ridere, puoi seguire il racconto, puoi non annoiarti, ma è una storia che va codificando dei caratteri nei quali lo spettatore può più o meno identificarsi. Poi ci sono storie di grande emozione che nella mia vita ho raccontato e sia come attore, sia come regista che come drammaturgo mi piace sentirmi interprete, calarmi totalmente. Prendere la storia e farmene responsabile in qualche modo.” 

Gioco e finzione si susseguono nel tracciare il filo conduttore di una commedia che appartiene al repertorio di Corrado ma non per questo vale di meno o è meno incisiva. A disconferma di quella visione miope che nel nostro Paese esige novità continue, perchè soggiogata alla logica dei finanziamenti più che alla magia del raccontare.

“La Locandiera è un gioco, perché tutto è finto. Quando penso al periodo di Goldoni penso alla maniera. La maniera era un modo di comportarsi e quindi codificava un modo di essere. Era tutto finto, tutto codificato. La stessa Mirandolina appena varca la soglia del palco si capisce che è finta e i primi personaggi sono addirittura ridicoli. Le azioni che raccontano, nei ritmi come nei dialoghi, non sono credibili, non puoi crederci se non giocando con loro. La conseguenza di questa finzione è stata la scelta di due uomini a interpretare due dame, quasi la finzione portata all’estremo. E in questo modo spicca ancor di più la figura di Mirandolina, una donna presa da un senso di onnipotenza, che è circondata dai suoi fantasmi, nella sua casetta, e tanti uomini che le girano intorno come in un gioco.” 

Il teatro di Corrado ha le porte aperte di una chiesa, è ancora un rito speciale al quale chi lo desidera vi può partecipare. Forse in un giorno, di un tempo passato che non vuole perdersi nella memoria, dentro quella chiesa ci è entrato un bambino che scriveva, scriveva, scriveva sempre. Che con i soldi chiesti al padre per le ripetizioni di greco aveva pagato un professore del Liceo Carducci di Milano che dava privatamente lezioni di teatro. Che davanti al Teatro Nazionale aveva comprato il suo primo abbonamento per la stagione teatrale sognando di stare un giorno su di un palco a recitare. Che indagando la scrittura si è fatto adulto, che interrogando il silenzio e la solitudine dell’uomo ce li ha restituiti in forma di sogni. Virali. Sognati intorno agli elementi, ai colori come alla pioggia, alla terra come alla luce, al legno o all’umidità. Una porta aperta sulla complessità dell’animo umano. Aperta a gli altri. E su gli altri. Contemporanea e onirica. Al pari della vita.

Photos by Pasquale Russo

 

Desidero ringraziare per la gentile intervista Corrado D’Elia qui nella sua veste di regista de “La Locandiera” di Carlo Goldoni, in scena al Teatro Litta di Milano fino al 25 gennaio 2015 – www.teatrolitta.it

Regia e ideazione scenica, Corrado d’Elia. Con Monica Faggiani, Corrado d’Elia, Alessandro Castellucci, Gustavo La Volpe, Andrea Tibaldi, Marco Brambilla, Tino Danesi. Luci, Alessandro Tinelli. Foto di scena, Angelo Redaelli.

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