NEL SEGNO DI ARCANGELO

E’ un percorso artistico intenso e fecondo quello di Arcangelo Esposito, in arte Arcangelo, che inizia nel 1984 con la prima personale presso la Galleria Taint a Monaco di Baviera intitolata Terra Mia e continua ancor oggi nel nome di una inarrestabile ricerca.

E’ la terra del Sud, la sua terra, la protagonista indiscussa: le superfici frastagliate delle dorsali appenniniche, le correnti telluriche, le notti tenebrose in cui spira un vento insistente. Dentro il nero ostinato, ottenuto per stratificazioni di materiali, talvolta veri e propri rilievi di colore, ci sono i paesaggi, le ombre, gli animali notturni, i recinti, la musica del legno. Esito di una grande libertà di movimento, di un segno indiscutibilmente istintivo.

Arcangelo incomincia la sua attività proprio agli inizi degli anni ’80 quando la pittura, al pari della scultura, oscurata dalle correnti concettuali dei decenni precedenti, viene in un certo senso riabilitata. Un caso insolito il suo, quello di un artista restio a etichette e definizioni, che non ha partecipato a manifesti e che si è tenuto a debita distanza dal movimento della Transavanguardia. Portatore di un nuovo alfabeto individuale fatto di segni, in cui il segno però non ha mai inteso significare un concetto ma solo significare sé stesso. Fatto di gesti, di relazione immediata nel senso di non filtrata. Tra l’ ideazione e la realizzazione solo la mano.

La terra si diceva. La terra delle origini, la terra calpestata, la terra immaginata. La terra lontana come Creta e le sue case o quella dei Dogon, la popolazione africana del Mali. La terra come elemento geografico definito che si trasforma poi, per il mezzo dell’arte, in luogo indefinito, luogo dell’animo umano, in una tensione che dal soggettivo vira verso l’oggettivo, dall’individuale ambisce all’universale tutto.

E ancora: i Misteri, le settennali processioni penitenziali e il sentimento religioso di cui è impregnato il Mezzogiorno, segno anche quello di una inalienabile appartenenza territoriale. E allora i riti, i Battenti, i Sanniti e il mondo che prende forma in una mescolanza di realtà e fantasia, di verità e transfigurazione, un riaffiorare dei ricordi dentro i vicoli della vecchia Benevento.

Poi l’Oriente e “il mondo fuggevole delle cose” tramandato dai più importanti maestri nipponici, la frenetica attività erotica dei disegni di Arcangelo. I Giardini di ceramica e i Tappeti Persiani come intreccio di fili dorati.

Un inesauribile lavorare per grandi cicli tematici e sottocicli, un andare e tornare al cospetto della vita. Una fame di conoscenza che è poi sforzo verso la coscienza, la consapevolezza di sé e del proprio senso antropologico.

Recentemente, presso la Galleria Clivio di Milano, in una sorta di ritorno alle origini, l’artista ha portato in mostra la Via Appia: una serie di tele e sculture che inscenavano una rievocazione della storica Regina Viarium, la strada che si estendeva da Roma alla Campania su sulle montagne aspre dell’Irpinia, fino Avellino e Benevento.

Case irpine fatte di terrecotte rosse adagiate sul legno bruciato e fiori, in una ricerca di forme più libere e ingenue, una pittura magmatica dal colore corposo e materico.

Lungo il tracciato immaginario di quella che è considerata tra le più grandi opere di ingegneria del mondo antico Arcangelo ha espresso ancora una volta tutta la sua vibrante energia interiore, fatta di movimento e sostanza, di vento che accarezzando la sua terra, suo Genius loci, si trasforma in afflato vitale e rumore di cosmo. E svela il senso di quell’andare che è condizione irrinunciabile dell’uomo e di cui l’artista ci fa dono in forma di opera d’arte.

Foto di Margherita Spatola

Ringrazio per la gentile collaborazione la Galleria Clivio di Milano, Foro Bonaparte 48

Arcangelo, "Via Appia" 2017 - Galleria Clivio Milano

Arcangelo, "Via Appia Fiore Irpino" 2017 - tecnica mista su carta intelata - 204x212 cm

Arcangelo, "Case Irpine" 2016 - Legno bruciato, terracotte rosse 1988


 

Arcangelo, "Arco di Traiano" 2016 - ceramica realizzata presso le Officine Saffi, Milano - 45x31x20 cm ca.

 

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