THE DUMMY MEETS SERGIO DARICELLO

Linee geometriche e riferimenti artistici. Rigore strutturale e finalità estetica. Arte e costruzioni dal sapore scultorio, in cui anche la forma semplice del triangolo tradisce un’accurata lavorazione sartoriale, convivono in un rapporto perfettamente equilibrato che fa della moda un racconto di amore. Amore per la propria terra, la propria cultura, le proprie origini. Amore per Palermo che prende sorprendentemente vita negli abiti del talentoso designer Sergio Daricello. E con Palermo le atmosfere della Sicilia tutta, il profondo respiro mediterraneo, i marmi mischi, i colori di una città che fa tornare il sorriso: il rosa, il nero, il bianco, l’oro, il verde dell’acqua. Per creazioni nelle quali due concetti apparentemente antitetici, il barocco e l’essenziale, si spartiscono senza battagliare lo stesso spazio di stoffa. A significare una ricchezza che pur pulsante negli abiti mai si trasforma in opulenza, quasi fosse snellita da un filtro magico di essenza.

Ho sempre amato la moda, ma è stato durante il corso di pittura e restauro all’ Accademia delle Belle Arti di Palermo che ho iniziato a fare degli studi specifici sulla moda e il costume e il loro legame con l’arte. Semplicemente un giorno mi sono svegliato con la convinzione di non voler essere né pittore né restauratore, ma di voler fare lo stilista. E’ seguito un lungo viaggio fino a Milano e poi la Marangoni, una scuola che mi ha preparato in modo completo al mondo del lavoro e mi ha insegnato a sviluppare abilità creative e stilistiche. 4 anni difficili, a studiare e lavorare insieme, non disdegnando alcun tipo di impiego pur di pagarmi gli studi.”

Un curriculum di tutto rispetto il suo. Dagli esordi nell’atelier di abiti da sposa di Annagema Lascari “una donna che aveva alle spalle una lunghissima esperienza in Ferrè, la mia maestra, colei che mi ha iniziato al gusto della couture” fino a Etro e Dolce e Gabbana dove si cimenta nella costruzione delle linee uomo. “Sono stati passaggi radicali! Disegnare l’uomo non è facile, devi dare il dettaglio, studiare determinati tipi di volumi senza mai scadere nel ridicolo o nell’importabile. Io faccio fatica a vedere uomini vestiti in modo assurdo, il mio uomo non deve essere un personaggio bizzarro.” E ancora in Versace, come responsabile dell’ufficio stile uomo Versace Jeans e Versus, sperimentando il connubio ispirante di moderno rock e arte. “Direi questa l’esperienza più formativa perché mi ha permesso di imparare a gestire tantissime aspetti non solo a livello creativo ma anche a livello organizzativo.” Per concludere infine con una violenza utile come la definisce lui stesso: la direzione creativa uomo e donna del marchio italo-giapponese Giuliano Fujiwara. “Una vicenda, dal punto di vista creativo, piuttosto forte. Un mondo minimal al quale io non ero abituato. E’ lì che ho iniziato a capire l’importanza dell’essenza piuttosto che del decorativismo. E probabilmente è da quel mondo che derivano le geometrie delle mie collezioni.”

Due anni fa la sensazione netta di poter iniziare la propria avventura. In maniera autonoma e con un brand che portasse il suo stesso nome quale sinonimo di un prodotto in tutto e per tutto aderente alla sua personalità.

Nelle esperienze precedenti o ero troppo decorativo o troppo essenziale. Qui sono il mio bilanciamento che rispecchia la mia personalità. Nella mia testa, prima ancora di iniziare, la mia donna aveva questi contenuti. Una donna che non lascia nulla al caso, attenta ai particolari, perché qui tutto è studiato in maniera meticolosa: i materiali, le proporzioni, i dettagli.”

Un lavoro non esente da difficoltà, auto-finanziato, di cui Sergio gestisce sia la parte creativa che quella produttiva. E proprio dal suo animo è venuta la scelta di lasciare Milano e fare ritorno a Palermo, trasferendo lì anche la produzione delle sue collezioni.

“Una sorta di recupero della memoria, un modo di riportarla al presente. E’ stata Istanbul, dove spesso soggiornavo per lavoro, a farmi riscoprire il lato mediorientale di Palermo. E così ho rivalutato una città che mi pareva senza speranza, un posto dove sembrava non potesse crescere nemmeno un filo d’erba. In realtà la città è cambiata, è maturata e si è evoluta, è ricca di humus e soprattutto offre moltissimi stimoli che la gente magari non è abituata a cogliere. C’è una realtà sociale viva nonostante i tanti problemi e c’è il sorriso sempre e comunque. Attitudine, quella a sorridere, che a Milano avevo perso.”

Suggestioni siciliane popolano anche le creazioni della collezione P/E 2016. La giornata del Gattopardo, il celeberrimo film di Luchino Visconti tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scivola autorevole e poetica tra le pieghe dei vestiti. E con essa i carretti siciliani, i marmi intarsiati di Casa Professa, abiti bustier e sublimi gonne ampie che mai cedono alla tentazione di farsi costume. Tutto parla. E lo fa con un linguaggio estremamente elegante, pieno di sensibilità e intriso di contemporaneità.

Sai, io mi definisco un outsider, uno che non ama stare in prima linea, perché spero sempre che sia il prodotto a parlare al mio posto. E quando il prodotto dice allora significa che ho fatto bene il mio lavoro

Desidero ringraziare per la cortese intervista lo stilista Sergio Daricello www.sergiodaricello.com

Foto di Nils Rossi

 

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