DANILO GARCIA DI MEO, STORIA DI VITE NON VISTE

Una fotografia narrativa, impregnata di dolcezza assoluta. Esito di uno sguardo capace di mimetizzarsi negli ambienti e nei personaggi. Una fotografia che è racconto di esperienze calate nel reale e che il reale usa come filo conduttore di tutta la sua poetica.

“Prima di essere un fotografo sono una persona, dentro una situazione, che la vive e la restituisce in immagini secondo il proprio punto di vista. La situazione conta, ma io dico sempre che la fotografia è come la pesca, ci son mille varianti. Devi avere tanta fortuna e nella fortuna devi essere bravo a farti trovare pronto. Una capacità che si acquisisce e che torna buona nella frazione di secondo che serve per giocare d’anticipo e tirar fuori una foto.”

Il Liceo Artistico e poi l’Accademia delle Belle Arti di Roma dove consegue il diploma di laurea in grafica editoriale e conclude con la specialistica in grafica e fotografia. Un paio di corsi di fotografia a Milano presso la Leica Akademie poi a Roma un incontro importante, quello con Marco Pinna photoeditor del magazine National Geographic.

“Mi sono ritrovato con la macchina fotografica in mano già da piccolo perché mio padre aveva la passione per la fotografia. Eppure io mi ci sono dedicato in maniera graduale. La consapevolezza e l’intenzione di portare avanti la fotografia come stile di vita, oltre che come passione, dato che per me è proprio una necessità, è arrivata negli anni dell’Accademia. Ho capito che era un forte bisogno espressivo rispetto al quale non potevo sottrarmi. Un modo di rappresentarmi.”

Guardare l’altro, puntare l’obiettivo della macchina fotografica verso le persone per dire del mondo sociale, quello più vicino alle proprie corde, storie di vita filtrate solo da uno sguardo, da una presenza, la propria, che mai diventa ingombrante. “Però ci ho messo anni a fotografare in questo modo perché di base sono un timido e fino a poco tempo fa non avrei mai pensato di poter mettere delle persone dentro le mie foto, già solo l’idea mi imbarazzava.”

Tra le persone in special modo Letizia, una donna affetta da tetraparesi spastica, che non ha autonomia in nessun arto, cha ha grossi problemi nella deglutizione, che riesce a comunicare solo grazie a un sensore applicato al poggiatesta della carrozzina il quale, collegato a sua volta a un computer, recepisce i lievi movimenti della sua testa. “Letizia – Storia di vite non viste” vince il Primo Premio ai Moscow International Fotography Awards, nella sezione Editorial: personality, e il Secondo Premio nella sezione Editorial: non-professional, oltre a essere Finalista al Concorso The Andrei Stenin International Presso Photo Contest patrocinato dall’UNESCO. Ne emerge il ritratto di una donna che non è solo i suoi problemi, una donna fortissima a dispetto di tutto, piena di vitalità, motivata ad andare oltre le sue difficoltà.

“Avevo un progetto ancora in fase embrionale nella testa, un progetto di cui, per assurdo, mi era chiaro solo il sottotitolo: storia di vite non viste. Volevo realizzare un reportage raccontando quello che sfugge all’occhio distratto dei più. Storie di persone che magari ci passano accanto e delle quali ignoriamo il disagio. E con questa idea nella mente mi sono presentato alla Cooperativa Sociale  di Monterotondo il Pungiglione che mi ha fatto subito conoscere Letizia. Ho iniziato seguendola, come una presenza discreta, dapprima nella sua attività lavorativa poi nelle sue uscite, per esempio al mercato quando andava a comprare le scarpe, fino ad entrare nella sua intimità, nella casa dove vive con il padre. E, a dire il vero, nonostante l’innegabile complessità io e Letizia ci ammazzavamo dalle risate!”

Nell’epoca dell’individualismo e della sua miseria che si svela tutta nella mercificazione delle relazioni umane, c’è un giovane fotografo che narra frammenti di vita da dentro le carceri e sa dire “sto facendo una esperienza meravigliosa!” Che assieme all’ Associazione culturale Per Ananke, a cura di Francesca Tricarico, contribuisce con i suoi scatti alla realizzazione del progetto teatrale nel carcere di Rebibbia femminile Le Donne del Muro Alto, per far si che l’arte sia il tramite tra la realtà carceraria e quella esterna. E ancora, che partecipa all’esperienza del teatro sociale di Pinocchio Nero, grazie alla proposta di Amref Health Africa e della Casa dei Teatri e della Drammaturgia Contemporanea, e aiuta il teatro a migrare dalle periferie a rischio del Kenya alle scuole primarie della Capitale, per combattere disagio e esclusione. Proprio dall’esperienza di Pinocchio Nero in una scuola elementare nel quartiere di Tor Bella Monaca, noto soprattutto per la criminalità organizzata e lo spaccio, è maturato il progetto di un reportage che raccontasse di quei bambini, della loro quotidianità, dei luoghi del loro vivere.

“Questo è l’inizio della mia strada. So che devo lavorare tanto, specie su me stesso. Ma so anche che continuerò con questo taglio di denuncia sociale. Racconterò anche di Roma est narrando con le immagini dei campi rom e dei centri commerciali perché questa è la mia fotografia, quella con la quale sto costruendo il mio bagaglio emotivo, di esperienze e di consapevolezza. Non è una strada facile lo so, ma non l’ho scelta. Certe strade non si scelgono. In certe strade ti ci trovi. Ed è in quelle stesse strade che poi, alla fine, ti ritrovi.”

Desidero ringraziare per la cortese intervista Danilo Garcia Di Meo –www.danilogarciadimeo.com  – Facebook 

In copertina: Letizia nel salone di casa sua parla col padre.

Maggio 2015, Centro CSERDI, Monterotondo. Letizia durante il suo lavoro di trascrizione al computer.

Maggio 2015, Centro CSERDI, Monterotondo. Letizia comunica con un’operatrice del Centro tramite l’e-tran.

Maggio 2015, Centro CSERDI, Monterotondo. Letizia viene assistita da un’operatrice per il lavaggio capelli.

Maggio 2015. Centro CSERDI, Monterotondo. Per Letizia la merenda è anche un momento per incontrare altri utenti, operatori e amici.

Gennaio 2016, Cinema Mancini, Monterotondo. Letizia ha appena visto il film “Non esser cattivo”, proiettato appositamente per alcuni ragazzi dello CSERDI e di classi del Liceo Artistico.

Gennaio 2016, Casa di Letizia, Monterotondo. Letizia quando torna a casa passa diverse ore al computer nella sua camera a parlare con i suoi amici e ad ascoltare musica.

Letizia nel salone di casa sua.

Carcere di Rebibbia.

Carcere di Rebibbia.

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