MASSIMO SANSAVINI, TOUROPERATOR

Un viaggio anomalo, a ritroso dagli oggetti agli individui, un Diario di Vite dal Mare di Sicilia, frammenti di esistenze che gli abissi restituiscono in forma di opere realizzate con legno recuperato dagli scafi dei migranti in deposito a Lampedusa.

Si intitola “Touroperator” la mostra itinerante di Massimo Sansavini: una storia di sbarchi e naufragi, di speranza e paura, di sogni e disillusioni esposta fino al 24 giugno prossimo presso la Fondazione Tito Balestra Onlus di Longiano (FC).

“Ho iniziato a interessarmi al fenomeno delle migrazioni verso la fine del 2013, in seguito al naufragio del 3 ottobre al largo di Lampedusa in cui persero la vita 360 persone. Un avvenimento che mi colpì molto anche perché fino a quel momento gli eventi tragici che avvenivano nel canale di Sicilia rimbalzavano sui media in maniera piuttosto frettolosa e distratta. Allora ho cominciato a documentarmi, ho provato a capire quali potessero essere le motivazioni profonde dello spostamento delle popolazioni dall’Africa verso l’Europa, scoprendo problemi sociologici davvero complessi. Si potrebbe citare Erich Fromm quando sostiene che aver sfruttato troppo i Paesi più poveri senza averli mai minimamente ricompensati ora produce i suoi frutti. Difronte a tutto questo ho pensato che l’arte potesse essere un viatico forte e importante, un mezzo per condurre lo spettatore dentro un luogo altro stimolando una riflessione approfondita su un fenomeno di così vasta portata.”

All’ironia densa di amarezza del titolo, che assolve quasi a funzione di logo e trae spunto dalla frase Arbeit Macht Frei posta all’ingresso di Auschwitz – chiaro riferimento alla mercanzia di uomini e donne da parte degli scafisti – fanno da contrappunto elementi semplici, a tratti naïf, intagliati nel legno: una casa, un fiore, un cuore, una stella. Composizioni di grande impatto cromatico poste sopra tavole colorate di blu e azzurro a rappresentare i fondali marini. Ogni opera ha un numero di elementi pari al numero delle vittime del naufragio e il titolo dell’opera è costituito dalla data stessa del naufragio.

Alternanza dicotomica di vita e di morte. Un basamento di marmo su cui poggia un timone che reca due inscrizioni, una in arabo e una in italiano, tratte dal Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e della Libertà Fondamentali. Insieme a quattro maschere africane, a simboleggiare una famiglia, dentro i cui occhi di specchio si riflette lo sguardo dello spettatore. Messaggio di inclusione e tolleranza, occhi che si compenetrano come a dire: tu sei me, io sono te. Nel mezzo legno e colori e oggetti, occhiali rotti, pile, bottiglie di acqua, attrezzi raccontano il viaggio della speranza di questi uomini. Residuo solido del loro peregrinare incerto.

“Un lungo iter burocratico quello che mi ha permesso di arrivare a Lampedusa, al cosiddetto cimitero delle barche per realizzare questo progetto. La ex base Usa Loran, il punto più alto dell’isola, ancora presidiata da telecamere, è il luogo in cui le barche vengono portate dopo il loro arrivo in porto per evitare che gli scafisti le rubino. Il procedimento penale a carico di ignoti si conclude con il non luogo a procedere e lo scafo confiscato viene distrutto perché costituisce, ai sensi della legge, corpo di reato. Pensa che mediamente l’Italia spende due milioni di euro per distruggere quelle barche. Ho fatto leva sul tema della memoria, sulla necessità di documentare attraverso i relitti un periodo storico, per avanzare la mia richiesta al procuratore antimafia del Tribunale di Agrigento. Richiesta che è stata accolta tant’è che sono stato l’unico a poter usare quel legno.”

Un modo per conservare traccia perché se viene meno quel legno viene meno la memoria, la testimonianza, viene meno il ricordo di un processo di trasformazione che ci riguarda tutti senza distinzione di sorta. E che riguarda soprattutto le nuove generazioni perché abbiano i loro monumenti ai caduti, opere d’arte fatte di legno che vivranno di vita infinita in un racconto di fondali e di stelle. Un racconto di speranza.

Onore e onere raccontare una vicenda così forte come quella dei flussi migratori che stanno rivoluzionando la configurazione geopolitica del Mediterraneo e gli assetti delle organizzazioni nazionali. Temi che trasformeranno radicalmente la nostra società nel prossimo futuro. Io credo che l’arte contemporanea possa e debba far sentire la propria voce e così ho fatto con questa mia mostra. Creando un piccolo spazio di riflessione in cui offrire allo spettatore gli strumenti per decifrare questa fase di grandi cambiamenti irreversibili caratterizzata per lo più da scarsa conoscenza del problema e sentimenti di paura e chiusura che non fanno altro che incentivare le divisioni tra i popoli.”

Desidero ringraziare per la cortese intervista Massimo Sansavini  – web site FacebookLinkedin

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